Il cuore della valle

Fin dall’inizio del suo costituirsi, la Comunità individua il luogo dove effettuare la Pubblica Regola, ossia l’assemblea dei capifamiglia, i rappresentanti dei vari “fuochi”. Lo elegge a centro della Comunità, ne fa di esso il cuore visibile e vi rimane fedele.
Poi, a mano a mano che cresce la coscienza della propria identità, progetta anche uno spazio per l’espressione della fede e lo colloca nello stesso posto destinato alla Pubblica Regola.
Così infatti scrive don Giuseppe Rippa nelle sue ricerche di storia locale:

“La Vallarsa, dipendente per l’evangelizzazione e il culto dalla Pieve di Lizzana, era visitata periodicamente da un sacerdote che istruiva il popolo nella fede in luoghi di fortuna.
Nel 1300 la popolazione era di circa 300 anime e sentì il bisogno di un luogo stabile ove raccogliersi per assistere “in corpore” alle funzioni religiose, per ricevere i sacramenti, per udire la Santa Messa.
Fu così che nel 1350 la Comunità presentò domanda per la costruzione di una cappella al Principe Vescovo Mainardo di Nusbaus, e ottenuta l’autorizzazione, si mise al lavoro. In breve tempo, la cappella fu portata a termine nel luogo che poi fu chiamato “la Chiesa”, dove si trova l’attuale arcipretale e dove era anche la sede del Comune.”

Dopo aver eretto chiesa e canonica, la Comunità chiese al Vescovo la nomina di un sacerdote stabile e se ne assunse il mantenimento. Il sacerdote fu concesso nel 1400 e vi erano allora 39 masi. Più specificamente ne parla don Leonardo Contareno nelle sue memorie della Pieve di Lizzana del 1470; in esse si nominano alcune località soggette alla chiesa di Lizzana e prosegue:

“… vi è un ‘altra comunità che è chiamata Vallarsa nella quale vi è la Chiesa di S. Vigilio, presso la quale vi è il cimitero e la casa del sacerdote, nella quale abita di continuo un solo cappellano, amovibile a volontà del Pievano. Viene mantenuto a spese della comunità. Nella cappella vi è il fonte battesimale. Gli olii santi vengono prelevati dalla matrice di Lizzana pagando alla stessa carantani 18”.

“Successivamente, la Comunità di Vallarsa chiese al Principe Vescovo Bernardo Clesio di nominare curazia la chiesa di S. Vigilio. La domanda venne presentata da Zendri Antonio dimorante alla Piazza e da Gregorio dal Dosso, rappresentanti e procuratori della Comunità e procuratori della Chiesa.
Il Vescovo, sentito il parere del Capitolo della cattedrale di S. Vigilio e quello del Pievano di Lizzana, con Decreto del 17ottobre 1538, elevò a curazia la cura d’anime di Vallarsa dando al sacerdote di detta cura il titolo di curato, e concedendo di fare nella chiesa di S. Vigilio qualunque funzione religiosa anche la più privilegiata”.
Alla Comunità di Vallarsa fu inoltre riconosciuto il diritto dello ‘Jus praesentandi’, ossia la facoltà di scegliere ed eleggere il proprio sacerdote come sta scritto nel documento di erezione tradotto a cura di don Ivo Leonardi.
“…Inoltre: l’eleggere e l’accettare qualunque sacerdote idoneo per officiare nella suddetta cappella sia e rimanga sempre nella libera elezione della predetta comunità; e il pievano e i suoi successori siano tenuti a confermare per il momento l’eletto in detta cappella e a presentarlo a noi perché sia istituito”.

Dopo aver risolto il problema del servizio religioso, la gente di Vallarsa pensa anche alla Casa della Comunità.
Infatti, se nei documenti, il luogo per la Pubblica Regola viene nel tempo indicato con le espressioni ‘piazza di Vallarsa’, ‘loco solito’, ‘sagrato antistante la chiesa di S. Vigilio’, in essi si parla anche di una ‘bottega’ che stava vicino alla chiesa e che veniva usata dagli amministratori comunali per i loro Consigli. Ne scrive il sacerdote Gasparo de Gasperis nell’Urbario ove si riportano i beni spettanti alla Chiesa di S. Vigilio; nel fare riferimento a questa bottega, egli dichiara che la godono gli uomini del Comune.
“…nel mio ingresso lì 30 settembre 1685… Ora al merito della bottega codesto homeni del Comune avanti la elezione del loro Pastore fecero certi capitelli et votarono… si servivano di questa bottega per fare i loro Consigli Comunali e i loro capitoli. Io mai gli ho adimandato questa bottega ne mai l’ho posseduta honde la godono gli Officianti del Comune senza aggravio ne ricognizione”.
Anche don Andrea Prezzi, arciprete, scrive di questa ‘bottega’ a pagina 20 del libro Protocollo dell’Archivio parrocchiale; riconosce che il locale anticamente apparteneva alla Chiesa, ma che in realtà, fu sempre utilizzato dalla Comunità.

Successivamente, in un documento del 30 maggio 1723, don Cristiano Semsperger sollecita la Comunità che già possiede due stanze nella canonica per i propri affari, a costruirsi una casa tutta per sè; a tal proposito si rende anche disponibile a concedere e permutare una parte di orto della canonica, operazione che poi andò a buon fine.
Così nei successivi decenni, viene realizzata la nuova casa con il concorso e il contributo di tutta la popolazione. E finalmente, dal 1774, i verbali delle riunioni vengono redatti, e datati in tono quasi solenne, ‘dalla Casa della Comunità’. Sul portale d’ingresso, ancor oggi, si vede lo stemma della Comunità scolpito nella pietra: due orsi che bevono alla fontana. Si tratta infatti, dello stesso edificio dove ora ha sede l’attuale canonica e che ospitò la scuola di Parrocchia prima della Grande Guerra.