La carta della Regola del comune di Vallarsa

STUDI TRENTINI DI SCIENZE STORICHE

LA CARTA DI REGOLA DEL COMUNE DI VALLARSA

 

L’ordinamento giuridico-amministrativo in vigore a Rovereto e nel suo distretto dai tempi più lontani fino ai rivolgimenti napoleonici, esattamente fino al 1805, si basava su di un’assoluta e completa autonomia fondata saldamente nel costume e nelle usanze inveterate di una lunga tradizione. Documento fondamentale di questo ordinamento era lo Statuto roveretano, ispirato come quello di Trento, alla libera democrazia dei Comuni. Nel medesimo, da parte di giureconsulti locali, erano state codificate le costumanze e i principi regolatori della giustizia e dell’ordine sociale. Lo Statuto affermava l’eguaglianza fra i cittadini nel sostenimento dei pubblici pesi e che le imposizioni colpivano in egual misura tutti i beni stabili. Questo Statuto, formato da 151 capitoli nel civile e da 110 nel criminale, era rimasto pressoché invariato mentre il paese passava dal governo ecclesiastico al feudale, dal veneto all’imperiale, piuttosto aumentando le libere prerogative dei roveretani invece che diminuirle.
La potestà di giudicare i Castelbarco l’avevano affidata a un proprio Vicario. Passato Rovereto nel 1416 sotto il dominio della Serenissima, i Veneziani mandavano un loro nobile in funzione di giudice con il titolo di Provveditore e da ultimo di Podestà. Aggregato il paese nel 1509 ai domini di casa d’Austria, fra i molti privilegi concessi dall’imperatore Massimiliano, con la conservazione dello Statuto, vi fu anche il riconoscimento della facoltà di proporre alla carica di Pretore tre soggetti, uno dei quali scelto dal Principe sarebbe rimasto in carica per due anni. L’amministrazione civica era invece lasciata per intero e incontrastatamente nelle mani dei cittadini. Modifiche allo Statuto, che le necessità del progresso e il mutare delle circostanze avessero potuto suggerire, dopo essere state votate dalla Comunità, divenivano esecutive con la sanzione dell’imperatore.
Le comunità del distretto di Rovereto: Marco, Lizzana, Vallarsa, Trambileno, Noriglio, Terragnolo, Volano e Sacco, soggette nel civile e nel criminale allo statuto roveretano, nella loro vita amministrativa si governavano secondo le disposizioni generali dello statuto medesimo e in base a norme consuetudinarie loro proprie, per quanto si riferiva alla conservazione e al godimento dei beni comuni. Tali norme trovavano pieno riconoscimento nello statuto il quale concedeva alle Comunità non solo di regolare il buon uso dei loro beni, ma anche di emanare disposizioni in materia di pesi e misure e di disciplinare i commerci necessari alla vita delle popolazioni. Allo stesso pretore, nel momento in cui assumeva l’ufficio, era fatto obbligo di giurare di osservare i privilegi e le consuetudini della comunità di Rovereto e di quelle della sua giurisdizione. Affinché questi regolamenti, espressione della libera democratica volontà collettiva dei capifamiglia avessero pieno vigore, era sufficiente la sanzione del pretore di Rovereto.
Questa semplice e sbrigativa procedura stimolava i paesani a deliberare di volta in volta, quei mutamenti giudicati necessari per il buon ordine della comunità. Così ad esempio quella di Volano (rog. 16 dicembre 1547 not. G.G. Cobelli), le cui campagne soffrivano spesso allagamenti, stabiliva chi fosse tenuto a prestazioni personali nei lavori da farsi a difesa delle inondazioni, alla riparazione delle “roste” dell’Adige e allo scavo dei fossati per lo scolo delle acque dalle campagne. E il comune di Trambileno (rog. G. Ant. Cobelli 4 maggio 1564) deliberava norme per il pascolo del bestiame e per la prevenzione degli incendi nei boschi. Non bastando ciò, posti fuori uso agli ordini dei saltari del 1561, con rog. 17 giugno 1578 del not. G. Porta, ne formulava di nuovi, articolati in 14 capitoli. Per la protezione dei boschi anche il comune di Noriiglio formulava appositi ordini (rog. 15 giugno 1568 not. G. Rosmini), mentre il piccolo “quartiere” di Saltaria, che faceva parte del comune di Noriglio e contava meno di trenta famiglie, aggiornando i suoi vecchi “capitoli”, considerato che nel suo territorio si trovavano alcune cave di pietra, trovava opportuno fra il resto di inserire il divieto “ai spezzapreda di lavorare nelle predare per il tempo che durerà l’uva matura” (rog. 11 giugno 1611 not. G. Paganini). A sua volta la comunità di Marco, che già disponeva di un proprio regolamento (rog. 2 marzo 1555 not. G.G. Cobelli) giudicava necessario integrarlo qualche anno dopo (rog. 24 ottobre 1568 not. G. Gandini), con la norma che “i forestieri che sposino donne nate da uomini di Marco, non possano godere la comunanza e le ragioni che spettavano ai padri di dette donne” se non previa domanda e pagamento di 50 ràgnesi a favore della comunità. Provvedimento che trovava la sua giustificazione nel fatto che le donne erano esenti da pubbliche prestazioni. Si riteneva quindi non potessero cedere i diritti di pascolo, di legnatico ecc. che godevano a titolo personale e che sposandosi li perdevano per assumere lo stato del marito.
Lo spirito comunitario che ha guidato l’esistenza di tante generazioni di questi paesani si manifesta ancora adesso in taluni aspetti del moderno vivere civile. Nelle comunità dell’antica giurisdizione roveretana ad esempio pur con il concorso di altri fattori, è rimasto vivo il senso di coesione che univa le ville sia nelle buone che nelle avverse circostanze, per cui il fenomeno della proliferazione di piccoli comuni, a seguito dello spezzettamento dei maggiori, manifestatosi in altre vallate nella nostra provincia, qui è del tutto sconosciuto. E nata invece la Comunità della Valle Lagarina, che affonda le sue radici e trae impulso per le sue moderne e feconde iniziative, nello antico sostrato comunitario.
Uno studio comparato dello statuto roveretano che prendesse in esame anche i regolamenti delle singole comunità, indicherebbe chiaramente nei giureconsulti, nelle famiglie patrizie, ma soprattutto nel popolo che ha dato origine a quegli ordinamenti, la sorgente di quelle peculiari caratteristiche che generalmente vengono riconosciute all’ambiente roveretano e alla sua gente. Queste positive caratteristiche non possono evidentemente derivare dall’aver appartenuto Rovereto e il suo territorio a un governo piuttosto che a un altro. La repubblica di Venezia dapprima, che tendeva con i possedimenti di terraferma a difendere il suo predominio sul mare, in seguito l’Austria, impegnata nelle guerre di successione dinastica a occidente e a contenere la minacciosa potenza turca a oriente, erano necessariamente indifferenti alle vicende locali delle popolazioni a loro soggette. D’altro canto non è dato di vedere con quali istrumenti queste potenze avrebbero potuto influire sul carattere della popolazione avendo rinunciato a imporre un costume migliore, mediante una loro legislazione più moderna e sperimentata, posto che esse stesse ne fossero state depositarie. La conservazione delle leggi tradizionali dei propri sudditi, magari con l’aggiunta di nuovi privilegi, più che un atto di generosità fu un atto di lungimiranza politica, diretto a conservare la pace all’interno e tener quiete le popolazioni che non avevano alcun interesse ai fini dinastici e politici che quelle potenze perseguivano.
Porre nella giusta luce queste cose non significa altro che prendere atto di un’effettiva realtà e tributare il dovuto riconoscimento a una popolazione forte, fiera e volonterosa, di aver procurato in tempi spesso difficili, contrassegnati da carestie, guerre e pestilenze, il proprio benessere con le proprie virtù e con il proprio lavoro, seguendo le sue naturali tendenze consolidate da una lunga tradizione basata su di una vera e sentita democrazia.

La Comunità di Vallarsa, della quale si riporta più avanti per intero il Regolamento del 1605, riuniva, allora come adesso, poco meno di 40 ville e casali sparsi sui ripidi pendii del profondo solco vallivo del Leno a una altitudine variabile dai 400 ai 1000 metri sul mare. L’area complessiva del suo territorio era di circa 7800 ettari così divisi:

Ettari 5.330 – bosco in prevalenza bene comune
” 860 – pascoli di alta montagna pure possesso comune
” 860 – improduttivo
” 350 – arativi
” 310 – prati
” 90 – vigneti e orti.

Da questi dati si rileva l’importanza che aveva il patrimonio boschivo nel bilancio della Comunità e l’interesse di ciascun membro alla vita amministrativa. Il vantaggio individuale che derivava dalle rendite dei boschi costituiva non v’è dubbio il maggior fattore di coesione fra le ville.
La popolazione, se è esatto il numero dei Capifamiglia dichiarati presenti nei verbali delle regole, esigua all’inizio del 1500 (40 fuochi), si accrebbe rapidamente tanto che un secolo dopo era di circa 170 fuochi, pari a un migliaio di persone.
Il collegamento con Rovereto avveniva attraverso la ripida mulattiera, in parte ancora esistente, che saliva attraverso le Porte, Lombardi e Sich ad Albaredo in sponda sinistra del Leno, che attraversava nell’unico punto in cui esso poteva venir raggiunto, fra S.Anna e Anghebeni, per giungere al centro della vallata, che era il vasto pianoro su cui è edificata la chiesa di S.Vigilio. Presso la chiesa era il cimitero ove riposavano tutti i defunti della valle, fatta eccezione per quelli di Foppiano, Albaredo e Lombardi, che venivano inumati nel cimitero di S. Tomaso presso il ponte a Rovereto. Nel piazzale antistante la chiesa di S.Vigilio, sotto un antico olmo, si radunava la regola. Vallarsa, malgrado la lunga e disagevole strada, aveva molti contatti con Rovereto, determinati soprattutto dal commercio del legname.
Il Comune aveva già un regolamento sanzionato l’11 luglio 1580 dal Podestà Giacomo Zuppino (rog. not. Giuseppe Porta). Forse fino allora, senza scostarsi dalle norme generali dettate dallo statuto roveretano, esso si era governato secondo la tradizione. Probabilmente con la carta del 1580 si era inteso oltre che eliminare le incertezze della tradizione, di fissare le pene con le quali si dovevano punire coloro che danneggiavano i beni sia pubblici che privati, divenendo con la carta tali pene obbligatorie. Per il resto la carta, con i suoi 18 capitoli sfiorava appena la complessa materia dell’amministrazione del vasto comune. Un massaro e quattro giurati eletti ogni anno avrebbero dovuto difenderne i diritti. Essi potevano farsi assistere nella trattazione degli affari da 15 uomini da loro scelti, ma le loro delibere dovevano venir confermate da una pubblica regola. Era compito del massaro e dei giurati di eleggere 4 saltari per la custodia dei boschi e dei prati e di fissare il prezzo delle vendite al minuto del pane e del vino. Il massaro infine aveva la facoltà di ordinare le prestazioni personali per accomodare le strade.
I lunghi anni di pace seguiti alla guerra contro Venezia, (1509-1516), con l’allargamento degli scambi commerciali e la nascita di nuove attività artigianali, avevano migliorate le condizioni di vita del popolo. A Rovereto si andava sviluppando la tessitura della seta con il seguito di attività sussidiarie, tintoria, lavorazione del legno, concia delle pelli ecc. mentre sulla piazza di Verona era sempre più richiesto il legname, sia da opera che da ardere. Questa attività commerciale, che in passato era stata la maggior fonte di reddito per tante famiglie roveretane, si era andata or maggiormente sviluppando. La produzione dei boschi di Terragnolo e di Vallarsa non bastava più a soddisfare la domanda, tanto che l’incetta della materia prima, che già aveva raggiunto i boschi di Folgaria e dello Scanuppia, si estendeva ora a quelli di Fiemme e oltre, fino a Bronzollo.
L’insufficienza del vecchio regolamento stava nella sua eccessiva concisione mentre talune norme consuetudinarie non vi erano nemmeno accennate. Ciò doveva aver permesso a taluni disonesti di approfittare del bene pubblico eludendo maliziosamente la procedura stabilita particolarmente nelle aste del legname. A seguito di talune frodi perpetrate a danno del comune sospinti dall’aumentata importanza degli affari trattati, gli amministratori in carica nell’anno 1605, decisero di affidare al nob. Gio Batta del Ben, rinomato giureconsulto roveretano, la stesura di un nuovo regolamento del tutto adeguato ai nuovi tempi. Il del Ben, nel rimettere il frutto delle sue fatiche, dopo aver esortato gli uomini del comune a farlo approvare in una pubblica regola, suggeriva di “eleggere uomini dabbene e sufficienti, lasciando fuori coloro i quali per il passato non amministrando giustamente si erano infarinate le mani con i danari del pubblico bene”.
Il regolamento, che venne approvato nella regola del 16 ottobre 1605 e sanzionato dal podestà Giulio Maggi il 5 dicembre 1605 (rog. not. Gaspare Paganini), dà a vedere nella sua completezza come era concepita e attuata l’amministrazione anche nelle altre comunità della giurisdizione di Rovereto. Esso prevedeva che l’assemblea di tutti i capi famiglia doveva eleggere ogni anno un massaro e 4 giurati che a loro volta dovevano eleggere 16 consiglieri, con facoltà di deliberare gli affari correnti senza dover sottostare a ulteriore delibera da parte della regola. Altra innovazione, suggerita dall’importanza assunta dalle pratiche amministrative, la nomina – sempre da parte della regola – di un sindaco, funzionario retribuito, per il disbrigo degli affari del comune. Le disposizioni relative alla conservazione dei documenti di acquisto vendita e locazione di beni comunitari e la loro pubblicità, era una norma osservata sempre. La documentazione di archivio che ancor oggi esiste presso il comune risale al 1400 non solo, ma nel 1605 la finitima comunità di Valli dei Signori poté ottenere dal ricco archivio di Vallarsa, un documento essenziale per la salvaguardia dei suoi diritti nei confronti di Verona, di cui essa, la diretta interessata, non aveva copia. Dalla nuova carta risulta poi che il massaro al termine del suo incarico era tenuto a ripartire gli avanzi di gestione fra le famiglie che partecipavano alla comunità, con la saggia limitazione che con il consenso degli interessati, questo avanzo potevasi destinare all’acquisto di stabili a incremento dei beni comuni. La ripartizione degli avanzi di gestione, già attuata negli anni precedenti, continuò anche negli anni successivi. Ne rimane memoria nell’atto 23 settembre 1646 del not. G. Passerini. A ciascuna delle 185 famiglie di Vallarsa toccarono allora lire 5.5, pari a circa 15 – 20 mila lire del 1966. Anche la ripetizione per tre volte delle aste di legname, al fine di ottenere la massima pubblicità ad escludere ogni turbativa era una norma consueta pur se la Carta del 1580 non lo rivela. Questa pratica era seguita anche nelle Comunità di Noriglio e di Terragnolo, come risulta nei contratti relativi dove si legge che la stipulazione avviene “dopo seguiti tre incanti in tre giorni diversi, secondo l’antico costume”. Notevole poi la disposizione che stabiliva per i malversatori la privazione dei diritti comunitari, suggerita evidentemente dagli abusi accaduti. Da rilevare infine che ai giurati era devoluta la facoltà di diminuire le pene, avuto riguardo all’entità del danno e al carattere delle persone colpite. Ciò rivela un aperto riconoscimento del senso di giustizia e di responsabilità dei pubblici amministratori.

Carta di regola del 1605

1 – Che ogni anno la domenica avanti il giorno di S. Michele Arcangelo secondo l’antico costume, il Massaro debba aver comandato ciascuno degli uomini che hanno voce nella Regola del Comune di Vallarsa, e congregar essa Regola su la piazza di Vallarsa, avanti la Chiesa al luogo solito, siano almeno di tre parti le due, la qual Regola abbia da eleggere uno per Massaro e quattro per Giurati, uomini da bene, timorati di Dio, e degli più idonei e sufficienti, ai quali sia dato il giuramento di reggere e governare fedelmente, e realmente per un anno intiero detto Comune e di osservare i seguenti Capitoli.

2 – Che abbia da eleggere un Sindaco d’esso Comune, al quale sia dato il giuramento di difendere le ragioni d’esso Comune e d’essere sollecito in procurare e spedire le cause spettanti al loro Comune e nel fine del suo anno abbia a render conto dell ‘officio suo e di ciò che avrà fatto, al qual Sindaco siano pagate le sue mercedi secondo resterà d’accordo col Comune o a liquidazione di periti.

3 – Che essi Massaro e Giurati abbiano a far elezione di sedici uomini che a loro parerà dei più idonei, che siano approvati dalla Regola quattro cioè per ogni quartiere e gli sia dato il giuramento di fare cose per coscienza, in utile al Comune, quale con esso Massaro, Giurati e Sindaco possano fare i consigli che faranno bisogno fra l’anno e deliberare quello che sarà a onore e utilità d’esso Comune.

4 – Che il Massaro qual d’anno in anno sarà, abbia a citare i Consiglieri al Consiglio, e alle Congregazioni generali gli uomini che hanno voce nella Regola.

5 – Che quelli che saranno avvisati a venire alle Regole o Consigli, non impediti da legittimi impedimenti, non verranno, caschino nella pena di lire 2 per Cadauno, la qual pena abbiano a pagare ipso faeto, altrimenti il Massaro abbia a levarli o mandar per un officiale farli levare in pegno e vendere sommariamente per la pena e spese.

6 – Che il Massaro, Giurati e Sindaco siano tenuti a fare l’inventario delle scritture, istrumenti e altre ragioni del Comune, quali abbiano diligentemente a custodire e quelle ogni anno riconsegnarle per inventario agli Officianti successori.

7 – Che tal inventario e ragioni siano conservati nella Cassa del Comune solita, nella quale siano due serrature, una chiave abbia il Massaro e l’altra i Giurati.

8 – Che facendosi alcun istrumento di acquisto o vendita, locazione o altro qual si voglia contratto d’interesse del Comune, siano obbligati il Massaro e giurati la prima domenica susseguente aver tal scrittura estratta e quella farla leggere su la pubblica Regola a ciò congregata, acciò da ognuno possa esser intesa e poi fare che sia notata in inventario e consegnata nella cassa apprezzo le altre scritture.

9 – Che il Massaro sia obbligato a scodere le entrate del Comune e quelle (detratte le spese necessarie al loro Comune conforme alla graziosa sentenza del Ser. mo nr.o Principe) dispensare per fuoco secondo l’antica usanza osservata nel Comune di Vallarsa ma però con questa riserva, che se per caso gli si rappresentasse qualche occasione di fare qualche acquisto in beneficio del loro Comune che possano in tal caso col consenso della loro Regola investire tal denari in beneficio del Comune.

10 – Che il Massaro sia tenuto parimenti scodere la Steura del suo anno drio al valor dei beni secondo l’estimo così dagli uomini del Comune anco dagli Frontani, al quale sia pagato il suo solito salario e facendo fatiche straordinarie che anche di quelle, fatta la tassa dei Giurati, debba essere pagato.

11 – Che il Massaro nel fine del suo Officio debba render conto del suo maneggio alla presenza dei giurati vecchi e nuovi e nuovo Massaro e gli siano bonificate quelle partite che saranno illiquide e inesigibili quelle poi che saranno esigibili e chiare se non le scodirà sia suo danno e quello che resterà debito possa essere sommariamente astretto a pagare esecutivamente.

12 – Che venendo occasione di vendere legne di qualche bosco del Comune così stabilito per la pubblica Regola, tali legne non possano esser vendute se prima per 3 domeniche non saranno incantate, sulla piazza di Vallarsa e nel terzo incanto siano poi deliberate a chi più gli mette e quelli che faranno o procureranno il contrario siano privi d ‘officio e beneficio del Comune e della Regola contraffacendo tutto si intenda esser nullo e di niun valore, ma per non fatto.

13 – Che il Massaro, Giurati, Sindaco e Consiglieri ogni anno abbiano a eleggere e deputare quattro Saltari, uno cioè per ogni colonello, ai quali sia dato il giuramento di guardare e custodire i boschi, gazi, le montagne, prati e campi e generalmente tutte le frue si del Comune, come dei particolari e di osservare i seguenti capitoli e ordini.

14- Che i Saltari ogni quindici giorni almeno una volta abbiano ad andare a rivedere i boschi ingazzadi, montagne e pascoli nelle sue stagioni e tempi e ogni altro luogo sia del Comune come dei particolari andando uno over due in ruota acciò ognuno faccia la sua parte, ovvero anche tutti quando faccia bisogno.

15 – Che persona alcuna non possa ne’ debba senza licenza del Massaro, Giurati, lasciar pascolare con animali nei pascoli quali è solito il Comune affittare sotto pena ai contraffacienti di soldi 12 per ogni bestia grossa e di soldi 4 per ciascheduna minuta e di refare il danno a stima e limitazione dei Giurati.

16- Che alcuno che non sia del Comune non possa ne’ debba con animali pascolare ne’ usufruttuare in qual si voglia modo beni del Comune senza licenza del Massaro e Giurati sotto pena di soldi 12 per la persona che danezzerà e di soldi 12 per ogni bestia grossa e di soldi 4 per cadauna bestia piccola, oltre rifare il danno al Comune a stima dei Giurati.

17 – Che alcuno non possa ne’ debba pascolare con animali, ne dar altro danno in qual si voglia modo nei prati e campi dei particolari in pena di soldi 12 per ogni contraffaciente e di soldi 12 per ciascheduna bestia grossa e di soldi 4 per cadauna bestia minuta e di rifare il danno al padrone a stima dei Giurati.

18 – Che alcuno non possa ne’ debba tagliare legnami di sorta alcuna nei gazi del Comune si per suo uso come per altri senza licenza del Massaro e Giurati del Comune, salvo che possano fare pertiche per far cerchi quelli del Comune, sotto pena di Lire 5 per cadauna legna e rifare il danno al Comune a stima ut supra. Sotto la stessa pena che alcuno non possa tagliare nei gazi dei particolari senza licenza dei padroni.

19 – Che parimenti alcuno non possa ne’ debba tagliare nei boschi di particolari senza licenza dei padroni sotto pena di lire 1 per ogni pianta tagliata e di rifare il danno al padrone a stima ut supra. Quai danni contenuti nei sopra detti Capitoli s’intendono dal giorno, ma se saranno dati di notte i dannatori paghino il doppio.

20 – Che i Giurati abbino per mercede per stimare i danni, se il luogo sarà vicino soldi 6 ma se sarà lontano soldi 12 per cadauno, qual mercede abbia a pagare il dannatore.

21 – Che ognuno degli abitanti nel Comune di Vallarsa, avvisato dal Massaro o Giurati, non impedito da legittimo impedimento da essere conosciuto da detti Giurati, debba andare a comodare le strade, sotto pena ai contraffacienti di soldi 12 per cadauno e cadauna volta.

22 – Che i Saltari siano obbligati a denunciare al padron del luogo il danno e il dannatore se il danno sarà fatto dal giorno, sotto pena di pagare il danno del proprio, ma se sarà fatto di notte, i Saltari non siano obbligati a cosa alcuna.

23 – Che i Saltari trovando il dannatore a dar il danno, gli abbiano a levar il pegno se potranno e data la loro denuncia con la qualità e quantità del danno e modo che sarà dato, sotto pena di lire 3 per ogni volta che mancheranno a denunciare da esser pagata per quelli a chi toccherà l’obbligo di andar fuori alla custodia e inoltre abbiano ad avvisare tal dannatore a comparir avanti i Giurati a difendersi dalla denuncia e non comparendo fra tre giorni dopo fatta la denuncia, i Giurati possano fare la segnatura la qual fatta, se il dannatore sarà condannato e che il pegno sia in poter del Massaro a tutto danno e spese del dannatore esecutivamente mandar per gli Officiali del Clar. mo Sig. Podestà a levar tal pegni, quali incantati il dannatore abbia il beneficio dello Statuto a poterli riscuotere.

24 – Che alle denuncie dei Saltari, per il giuramento che hanno, sia data piena fede e siano creduti nell’atto della denuncia.

25 – Che quello che faranno due Giurati nel condannare e assolvere nei predetti casi e capitoli e anche nei casi infrascritti dai Cavaleri del Comune, sia legittimamente e a sufficienza fatto come se fosse fatto per tutti quattro i Giurati.

26- Che i Saltari abbiano per loro salario lire 6 per ciascheduno da essergli pagato per il Massaro in ragion d’anno, oltre la porzione delle condanne che gli spetta come qui in basso.

27 – Che i Saltari abbiano un terzo della condanna che sarà fatta per le loro denuncie, un terzo i Giurati e l’altro terzo il Comune.

28 – Che il Massaro e Giurati, col Consiglio ossia la Regola, abbiano da eleggere due uomini dabbene per Cavalieri di Comune ai quali sia dato il giuramento di invigilare sopra l’osservanza degli infrascritti Capitoli.

29- Che quelli che tengono da vendere pane fuori di casa, debbano vender pane di frumento sfiorato, ben cotto e stagionato e sia al peso giusto al calmier di Roveré sotto pena di perdere il pane che sarà ritrovato contro il tenor del presente Capitolo, e anche di soldi 4 per ogni benna di pane che sarà trovato contro il tenor del presente ordine.

30 – E parimenti che quelli che vendono vino a minuto fuori di Casa, lo debbano vendere con misure giuste per il prezzo che gli sarà limitato dai Cavalieri di Comune o dai Giurati sotto pena di soldi 4 per ogni mossa di vino che avranno venduto con misure non giuste ovvero senza farlo stimare come sopra.

31 – Che quelli che vendono olio e altre robe da mangiare, debbano pesare con bilance e pesi o misurare con misure giuste, bollate dal Deputato dell’Officio di Roveré sotto pena di soldi 12 per ogni volta sarà ritrovato alcuno contraffare e di perdere le pese e misure e robe pesate e misurate contro il tenor di questo ordine.

32 – Che i CavaIeri del Comune trovato alcuno contraffaciente o robe vendute contro i predetti Ordini, toltogli tal robe se le potranno avere, abbiano a dare la loro denuncia avvisando questi tali contraffacienti che termine tre giorni facciano la loro difesa davanti i Giurati, se intendono di fare, quali passati se non compariranno, essi Giurati facciano la segnatura e la eseguiscano.

33 – Che sia in libertà dei Giurati di sminuire le suddette pene, avuto riguardo alla qualità della contraffazione, roba e della persona negli sopradetti ordini tutti.

34 – Che un terzo delle qual robe saranno tolte e pene siano dei Cavaleri di Comune, l’altro terzo di Giurati e l’ultimo terzo del Comune.

35 – Che il padre sia tenuto per ifigliuoli efigliuole e i padroni per la servitù ancorché senza loro consenso e saputa contraffacessero in cadauno degli ordini sopra-detti ifigli e servitù, siano tenuti si per la pena e spese come anco al rifare il danno.