TSCENSTOCHAU 2.10 – 5.11.943

TSCENSTOCHAU 2.10 – 5.11.943.

Stretti in uno sporco vagone bestiame abbiamo viaggiato – per Gneise Ostrovo verso sud – due giorni, da Thorn a Tschenstochau, scortati da una squadra che non aveva da perdere al confronto con le precedenti per la durezza del trattamento. I viveri – pane e salame – ci sono stati distribuiti più o meno in tempo; solo che alla stazione di arrivo abbiamo dovuto assistere al vergognoso traffico di una parte del pane a noi destinato. Dal vagone scorta, che era pure magazzino viveri, un gruppetto di tedeschi distribuiva pubblicamente delle pagnotte a chi, tra la massa di giovani ufficiali riusciva ad offrire orologi, penne stilografiche, portasigarette, oggetti vari! Un piccolo saggio della tanto decantata integrità morale del soldato tedesco.
Bagagli in spalla, in lunghissima colonna abbiamo attraversato la città, che per il vero impressionava bene. I polacchi, in massima parte donne e bambini, si trattenevano attoniti a guardarci, spesso intimoriti dall’atteggiamento burbauroso dei tedeschi ovunque presenti e bene armati; e, sempre che potessero eludere la loro vigilanza, ci offrivano pane sigarette e frutta. Gli sgherri, baionetta in canna, avevano assunto per la circostanza, forse preoccupati per eventuali disordini, un atteggiamento particolarmente indisponente ed offensivo: ad ogni momento grida feroci e spintoni. Durante le brevi soste qualche signora ci offriva, se non altro, dell’acqua per calmare la sete; ho visto un ufficiale tedesco intercettare ad una donna la brocca d’acqua, versarne il contenuto per terra, e restituirgliela. Come può Dio essere con una nazione che annovera dei porci di tanta specie?
Ed una giovane donna, nell’atto di avvicinarsi alla colonna degli internati per offrir qualche sigaretta “papiroski” venne colpita col calcio del fucile da un sottufficiale della scorta, ma seppe ugualmente sorridere a noi e lanciò il suo povero gentile dono.

Più avanti, da me pregata in lingua tedesca, una signora venne sulla strada recando un secchio d’acqua, e la nostra sete fu calma. Un sottufficiale della guardia, eccezione sugli altri, si limitò a redarguirla dicendole severo: “non lo sa che ciò è proibito?” Al che la signora rispose: “Deve pensare che anche noi abbiamo un cuore” e l’uomo ritenne meglio allontanarsi e fingere di non aver visto.

Ricorderò sempre come mi venne spontaneo dal cuore un ringraziamento: “Vergelsgott” – Dio le renda merito.

Un’autocolonna militare tedesca è passata accanto a noi, molti mitragliatori posati, in caccia, sui parabrezza e sulle sponde delle macchine, recante un gruppo di patrioti polacchi, evidentemente destinati all’internamento. Visi espressivi nella loro staticità, che si atteggiavano ad una palese dolcezza rivolgendosi a noi, omai ad essi accomunati nell’amara sorte.
Ormai eravamo presso la Nord Kaserme. Un massiccio fabbricato a tre piani, nerastro, stretto e lunghissimo, orientato da sud a nord. Un folto gruppo di ufficiali, tra i quali molti superiori, erano al di là dell’ormai familiare reticolato in attesa di riconoscere, tra i nuovi giunti, qualche amico o commilitone.

Con l’ingresso allo “stalag 367” il pomeriggio del 2 ottobre, il nostro morale si è sentito notevolmente sollevato, da un lato per il ritrovamento di vari conoscenti e amici e dall’altro per la sensazione netta, che abbiamo subito avuto, d’un migliore trattamento sia morale che alimentare. Tra gli ufficiali superiori ne ho incontrato parecchi già di guarnigione a Bolzano, che mi hanno informato dello svolgersi degli avvenimenti in quella città in seguito all’armistizio; ricordo il Col. Riva, il Col. Ghirozzi, il Magg. Bertorella, il Magg. Verde ed altri. Tra gli amici o compaesani v’erano Crepaz – Abram – Weber – Salvadori – Suitner – Lunelli – Miorelli – Frega – Claudio Rossi – che erano qui giunti o direttamente dal Brennero o qualche giorno prima provenienti da campi tipo Thorn.

Su invito del comando del campo i 1233 ufficiali presenti avevano presentato, in data 24 settembre, una dichiarazione dicendosi disposti a riprendere, in Italia il loro posto di soldati. In seguito a ciò un primo scaglione, in cui figuravano anche De Romedis, Balbo, La Rosa, Cavazzini, Filzi, era partito da Tscheustochau in data 29 settembre per il campo di addestramento di Münzinger (Würtenberg) da dove sarebbero poi stati inviati in Italia. Noi di Thorn siamo rimasti male impressionati da questa totalitaria – se pure sensata – adesione, perché vi vedevamo sotto l’inganno del teutone. Nel nostro stato d’animo avremmo negato l’adesione anche in questa forma, e ciò ci valse l’epiteto dei: “Rossi di Thorn”. Si saprà poi che tale formula non appagava l’esigenza tedesca, e l’ha sostituita con quella – mostruosa – ufficialmente sottoposta a tutti gli internati compresi quelli del campo di Münzinger. E saprò ancora, l’11 novembre a Cholm, che De Romedis e pochi altri hanno rifiutato di divenire mercenari del Reich anche a costo di molte incognite per il loro avvenire, e sono tornati a condividere con noi lo squallore della vita al campo di concentramento.

Circa la sistemazione alla “Nord Kaserme” dirò che dopo una formale visita al bagaglio abbiamo occupato, in 71, la camerata 29 del I° blocco, accanto al Blocco Revier dov’erano gli ufficiali superiori. Anzi a noi cravatte rosse è toccato un localetto annesso alla stanza grande, dove eravamo un po’ stretti ma in compenso tranquilli. Ero accanto alla finestra, dalla quale vedevo il famoso Santuario della Madonna Nera, la brandina sul castello superiore, Vandone sotto. Una buona stufa contribuiva a tranquillizzarci sulla questione del freddo, nel caso avessimo dovuto passar lì l’inverno. Ci hanno dato il necessario: scodella di stagno, cucchiaio, lenzuola, coperte e pagliericcio. Come vitto un the a mattina, una minestra e qualche patata lessa a mezzogiorno, pane e margarina, ed ancora un the, a sera; una volta formaggio, talvolta 100 gr. di marmellata. Non era molto, ma era scongiurata la fame nera del precedente periodo.

La vita alla Nord Kaserme si svolgeva abbastanza serena, con tempo in massima buono, il più possibile vivificata dalla nostra volontà organizzativa. C’era l’acqua corrente, all’interno, per lavaci, e si poteva fare il bagno anche più volte in settimana. Adunata di controllo, in cortile, verso le otto, con segnale di tromba italiano, e con l’occasione un po’ di passeggiata nel cortile vigilato anche qui, oltre che dai vari ordini di reticolato, dall’impassibile uomo in elmetto – mitragliatrice e riflettore – sulla sopraelevata garitta. Passeggiata misurata nel tempo e nell’intensità, perchè le forze non consentivano molto.

Dalle 9 in poi c’era la possibilità d’ascoltare qualche conferenza o lezione, tenuta da competenti colleghi, che non mancavano naturalmente su una massa di 3000 ufficiali: letteratura (Mori) legge (Scherillo – Zinilamberti) commercio – musica – religione – umorismo ecc.
C’era, al II blocco, una modesta biblioteca, della quale si poteva divenire soci depositando qualche libro; chi non poteva soddisfare a questa condizione riceveva qualcosa da leggere dietro versamento di due sigarette papiroski.
E’ stato iniziato anche un corso di lingua tedesca – per iniziati e per principianti – per il quale hanno collaborato anche il Magg. Panzer e il barone Salvadori.

Il comando del campo era praticamente in mano a qualche maresciallo tedesco, che trattava correttamente; poco seccava il capitano (Panzer – Kammel o Franchenstein) o il Colonnello che esigeva il saluto.
A turno s’era di comandata, o corvè, e ci toccava andar a ritirare i viveri, la distribuzione dei quali generava sempre discussioni interminabili quanto inutili e stupide.

La cucina era, se pur sempre controllata dai tedeschi, in mano di ufficiali italiani (Veber – Salvadori) che hanno dato motivo di lamentele, fondate o non, non posso dire.

Un secondo appello a mezzo del pomeriggio, poi le notizie, con la traduzione del “Krakaner Zeitung” che con l’aiuto di Crepaz riuscivo a comperare giornalmente. Rosario alle 18 e quindi la modestissima cena, consumata sull’alto della brandina; alle 20 – 21 s’andava a letto, col pensiero sempre rivolto ai cari lontani dei quali si ignorava la sorte. La domenica ci si riuniva un’oretta per un po’ di canto. E c’era una canzone che diceva: “ma le domeniche passano e passano…” e poi infine: “sento che questa domenica è l’ultima…” Tante domeniche, ed anche assai tristi, dovevamo passare… ma in fondo al cuore è sempre rimasta viva ardente la fede.

S’è andato formando una parvenza di ufficio posta. Per mancanza di stampati eravamo privati della possibilità di scrivere. Una volta abbiamo avuto una cartolina in cinque! Ho tuttavia cercato, con vari mezzi, di far giungere a Itala mie notizie, e qualcosa son riuscito a realizzare. Son cominciate a giungere a metà ottobre, le prime lettere dall’Italia, ed è cominciata la febbre delle notizie, che riceverò solo il 10 dicembre.

Circa la nostra posizione “politica”, anche durante la permanenza a Tschenstochau si è parlato, discusso e congetturato molto, troppo. Da mane a sera degli agitati sono andati seminando voci e panzane, tenendo la massa degli internati in continuo fermento. E la nostra prigionia diveniva, sotto questo aspetto, opprimente, al punto che ci sentivamo sorgere dal cuore una voce di ribellione; basta! Facessero di noi ciò che avessero ritenuto meglio, ma solo che la finissero col tormentare, blandendo o minacciando, le nostre coscienze.

Abbiamo compilato nuove schede; a certuni è stata eseguita la fotografia per la cartella personale, con il numero di matricola che spiccava, bianco di gesso, su una tavoletta nera posta sul petto. E’ stato chiesto talvolta, così senza un programma chiaro, se si era iscritti al P.N.F. o alla M.V.S.N.
In due scaglioni sono partiti per Berlino dei gruppetti di ufficiali, chiamati, si diceva presso l’Ambasciata d’Italia per occuparsi della nostra futura sorte. (Lunelli – Vaccaro – Migliorati – Kauftgasser – Panzer – Da Re -) L’ultimo di questi ebbe la malaugurata idea di scrivere un giorno – privatamente – che presto sarebbe giunta al campo una commissione di ufficiali italiani a recare bellissime notizie per noi. E ciò, messo in relazione al comunicato del Consigio dei Ministri della Repubblica fascista, secondo il quale gli ufficiali che l’8 settembre non s’erano macchiati di atti disonorevoli nei riguardi dell’alleato tedesco sarebbero stati collocati in congedo, ha dato la stura a un’infinità di congetture, e non pochi si sono lasciati illudere.
Ma il 3 novembre, con l’arrivo di una commissione capeggiata dal gen. Coturri ogni rosea illusione è caduta; la formula di opzione presentata ufficialmente, era assai severa per un male che non avevamo fatto, e la sua accettazione era condizione indispensabile per uscire dalla nostra condizione di internati.
L’interpellanza s’è limitata per quel giorno agli ufficiali effettivi e superiori. Tra questi ultimi c’è stata una certa adesione. La massa degli ufficiali inferiori sarebbe invece stata interrogata in un nuovo campo, dove si era in procinto di essere trasferiti, per il fatto che era stato stabilito di riservare la caserma di Tschenstochau, che offriva relative comodità, ai soli ufficiali superiori.

In quei giorni infatti erano partiti vari scaglioni di giovani ufficiali, non si sa per quale destinazione. Ein tutti era una segreta speranza d’andar verso l’Italia, o ad un campo dell’Austria. Sapremo poi che avevano raggiunto la famosa cittadella di Leopoli (Lemberg) o addirittura il campo di Tarnopol nell’Est della Polonia.

Il 5 novembre è giunta la nostra volta; eravamo un grosso scaglione di 1200 ufficiali che dopo essere stati trattenuti lunghe ore nel cortile per il controllo, con un tempo nevoso e freddo, mal nutriti, siamo stati avviati alla stazione nel primo pomeriggio. Più temprati ormai alla sferza dell’avversa fortuna, affrontavamo un’altra volta l’ignoto con una certa baldanza, o più semplicemente accarezzavamo anche noi come gli altri la non confessata speranza di andare a finire meglio? Fatto sta che per le vie di questa città polacca trovammo la forza di cantare a piena gola le più belle canzoni nostre, di tema patriottico ed amoroso. Primi fra tutti gli inni di Mameli e di Garibaldi… “Va fuori d’Italia va fuori ch’è l’ora…” I polacchi devono aver capito che per quanto maggiomente pallidi e dimagriti, eravamo ancora i buoni italiani d’un tempo. “Bastone tedesco l’Italia non doma…”

Il santuario della madonna Nera è famoso in Europa orientale quanto Lourd da noi. Antica fortezza con una cappella che custodisce un miracoloso quadro (1.20×0.80) legno intagliato da una tavola della casa di Nazareth. Secondo la leggenda ricchissimo di diamanti ed oro (20 milioni di marchi oro) è esposto solo in determinate occasioni. V’è la cattedrale con Cristo pure miracoloso. Lungo il fosso della fortezza una Via Crucis con artistici gruppi in bronzo. Convento tenuto da