WIETZENDORF KR.SOLTAU

WIETZENDORF KR.SOLTAU

 

La vita al nuovo campo si è rivelata subito tutt’altro che consolante per la mancanza assoluta dell’organizzazione dei servizi. Trascorso il pomeriggio del 19 abbandonati in un nudo freddo e sporco capannone, vi abbiamo poi passata la notte su quattro tavole a terra, stretti l’un l’altro per sentirci materialemnte e moralmente solidali nell’avversa fortuna. La giornata del 20 è stata campale a causa del bagno e della disinfestazione, effettuati in atmosfera agitata, della visita bagagli minuziosa ed indisponente, della distribuzione della prima, e per la verità assai buona minestra, conquistata solo nel pomeriggio a prezzo di molte preoccupazioni e consumata all’aperto, e nella sistemazione in baracca, pure raggiunta dopo molte difficoltà. Il nostro gruppetto – Delvai De Romedis Iachelini Stefenelli Secchi Sommavilla – riesce tuttavia a sistemarsi compatto, e ciò è molto. Occupiamo la camerata 1 del blocco 4o, che è un capannone in cemento, diviso in 6 camerate, quattro piccole finestre, due stufe in mattoni, poco carbone, una sola lampada; 68 inquilini, capo camerata il Capno Radovic. In complesso: buio – freddo e umido.

Dopo otto giorni, oggi 28 gennaio, abbiamo osservato: nessun sintomo di funzionamento servizio posta; resistenza notevole a lasciar funzionare un comando italiano del campo; mancata consegna del bagaglio agli ufficiali che posseggono cassetta o sacco branda; un’adunata al giorno, all’aperto, per il controllo, alle 9 circa; acqua alla pompa esterna, senza alcuna possibilità di lavarcisi bene o di lavar la biancheria; concessione di una bacinella in 11, che dovrebbe risolvere questi problemi; concessione di poco carbone e pessima legna; concessione di tre lampadine che devono rimaner accese tutto il giorno; concessione di una misera coperta a testa, tra quelle da campo italiane sequestrate ai nostri soldati; e nessun’altra suppellettile per mangiare o per la pulizia, di cui il comando del campo non dispone; un surrogato abbastanza buono a mattina, una gradita minestra alle 12 o più tardi (si fa sempre lungamente attendere) e per la sera un tozzo di pane pesantissimo in relazione al suo volume, 30 gr. di margarina, talvolta la marmellata, o il formaggio, e un secondo surrogato che qui vien chiamato tiglio.
Il clima è umido, piove giornalmente, tira quasi costantemente vento marino di sud ovest, il cielo è percorso da nuvolaglia; non fa molto freddo, ma si è indotti a starsene sempre in camerata, alla luce artificiale. Spesso, a notte, c’è allarme per il passaggio di aerei…
Il nostro spirito di adattamento si è ancora una volta piegato alla situazione, ed il morale, oggi, è un po’ più alto che nei giorni passati. Così si vive, aspettando con sempre rinnovata fiducia.

31.1.44.
“Meminisse juvabit”. Fisso qualche particolare e qualche idea di questo ultimo giorno di gennaio, fortunatamente finito.

M’alzo alle otto circa, e s’è fatto giorno da poco in questa regione, con le ossa indolenzite per le 12 ore passate sul tavolaccio inferiore del castello; è umido; fuori cielo sempre coperto, pozzanghere, piovaschi. Mi lavo alla meglio con la catinella posata per terra. Aiuto De Romedis, con lui rifaccio i giacigli, scopando il pavimento nel tratto occupato da noi. Poi l’appello, che dura mezz’ora o più. Alle 10 saltano le sicurezze e si rimane al buio; il locale sembra una spelonca, fredda, sporca come una malga. Neppure oggi ci hanno dato il carbone; e qualche grosso ceppo di pino che abbiamo in serbo non può essere utilizzato per mancanza di accetta.
La minestra – densa di pasta e milio, buona ma poca – giunge poco dopo le 12, ma è successo un guaio: il grosso pentolone portato faticosamente a spalla con un palo a mo’ dell’uva della terra promessa, è caduto e una quindicina di razioni sono andate perdute. La cucina integra fortunatamente e al nostro gruppetto tocca pure l’aggiunta, gradita quanto inaspettata. E’ la volta del sonnellino pomeridiano, per riscaldarmi, per non sciupar energie, per passar due ore. Poi la distribuzione del pane, della margarina e della marmellata; più tardi giunge il tiglio, poco zuccherato; sembra che da domani ci diano lo zucchero in natura, in misura di 25 gr. al giorno. Noi si tira fino alle 18 prima di cenare, ma certuni sistemano tutto man mano che arriva; per aver luce sufficiente montiamo sui due castelli alti di Delvai e di Iachelini, in buon cameratismo. La Provvidenza è giunta a noi questa sera, a mezzo di Casna che avendo ricevuto un pacco ha voluto dividere con noi un pezzo di buon pane bianco, venuto dal Trentino, e una fettina di ossocollo.

Ancora un po’ di luce ci vien concessa, con l’assegnazione d’una cartolina a testo fisso che potremo inviare alle famiglie per far conoscere almeno il nostro nuovo indirizzo; compiliamo anche un paio di cedolini per invio pacco, e affidiamo tutto alla sorte. Alle 20 ci corichiamo, rassegnati a sopportare il mal di reni nel corso della notte dal sonno innumeri volte interrotto.

Un gruppo di ufficiali ha soppresso e mangiato un cane del tedesco. Le notizie radio clandestina sono soddisfacenti. Si soffre ma si sppera. “Morgen” ci dice sempre il teuteone, alle nostre richieste. Un morgen saremo liberi!

1.2.44.
Ci distribuiscono dei buoni-lager per un ammontare di 32 marchi (capitani) quale decade 3° di gennaio. Non sappiamo ancor bene che uso potremo fare di questa carta dato che all’esterno non vale e all’interno non c’è nulla da poter acquistare. Misteri della mentalità tedesca.

5 / 2.
Nevica. Aveva cominciato ieri, con un mutevolissimo tempo. Bel sole – il primo da che siamo qui – e neve e grandine alternatisi varie volte.
Wietzendorf = paese degli scherzi.
Una commissione è qui da qualche giorno per raccogliere adesioni volontarie alla collabrorazione col tedesco, sia per il combattimento quanto per il lavoro nel Reich. Fortunatamente non veniamo interpellati, ed io vivo al di fuori di questo problema, che non mi riguarda nè tanto nè poco. Stamane tuttavia siamo stati adunati dopo l’appello, per ascoltare le norme che regolano le condizioni di lavoro. Trattamento di ufficiali, libertà limitata, impegno per 6 mesi, lavoro per sole determinate professioni, lavori manuali per le categorie avvocati insegnanti ecc., dare la risposta entro lunedì 7 febbraio.

E’ ormai palese che questi sono infruttuosi conati per tirar fuori sangue da una rapa. Intanto dobbiamo vedere ancora gli optanti seguire la nostra stessa sorte, a tre mesi di distanza da che hanno compromesso il loro onore di ufficiali italiani, e subire un trattamento sotto certo aspetto peggiore del nostro. E’ di questi giorni la precisazione fatta a quelli che son qui: che non pensino d’andar per ora in Italia; che se vogliono possono ancor ritirare la dichiarazione d’impegno, ma stessero attenti alle conseguenze: sarebbero traditori del Reich!!

15 / 2.

Fisso qualche novità della 1a quindicina di febbraio: nulla di particolare, nè di allegro, ma vita grigia, illuminata soltanto dalla nostra volontà di superamento. Sono cominciate le punizioni con arresti in apposita baracca o con esclusione a tempo determinato dai benefici della corrispondenza. Sono stati trovati degli apparecchi radio; visite improvvise nelle camerate con minuzioso controllo delle cose personali.

Oggi affido al Ten. farm. Boni di Tione la lancia della Bandiera perchè la custodisca finchè dura il periodo di perquisizione.

– Pure oggi, disinfestazione e bagno. Infruttuose sinora le richieste di sigarette, per cui abbiamo versato 10 marchilager, e del sapone di cui abbiamo estremo bisogno. L’11 mi son fatto tagliare i capelli: 3 ufficiali acconsentono volonterosamente a questo servizio, in mancanza di soldati. In 5 mesi solo 3 volte mi è stato concesso di adempiere a questa operazione: a Tschenstochau, a Cholm, qui.

– Dal 10 il T. Col. Testa di S.M. (zaratino) è comandante italiano del campo, ed il problema disciplinare subisce un migliorramento.

– Il clima è peggiorato rispetto a gennaio; De Romedis ha avuto qualche giorno di indisposizione, ed io pure, in questi giorni.

– Trattamento alimentare peggiorato: il pane più spesso in 7. Minestra assai spesso di sole rape. Le patate non si vedono; solo domenica abbiamo avuto ottima sbobba di pasta ed orzo. Venerdì c’era del granoturco intero. I progetti di miglioramento vitto rimangono tali. Le discussioni su questi argomenti sono all’ordine del giorno, sino alla nausea.

– Vengono poste le basi per la costituzione di Gruppi regionali di internati, con lo scopo di mantenere moralmente uniti gli ufficiali ed i soldati delle stesse provincie, sia durante la permanenza al campo di Wietzendorf, quanto in Patria, in avvenire; e di esplicare, in ogni campo possibile, mutua assistenza.
Il Gruppo dei Trentini e degli atesini, del quale mi occupo in attesa che venga nominato per libera volontà il fiduciario, riunisce 26 ufficiali e 5 soldati. Il 15 febbraio partecipo ad una riunione dei Fiduciari delle provincie venete.

– Per noi di Cholm nessun cenno di corrispondenza in arrivo; più fortunati quelli di Leopoli che vedon giungere qualche lettera e dei pacchi.

Il 10 ho scritto a Poggioni. A Itala ho potuto scrivere oggi.

“Primo marzo” non v’è colloquio tra amici, oggi, nel quale non ricorra spesso quest’espressione; ed in tutti è una non espressa speranza e una specie di gioia per essere giunti sani e salvi sin qui, quasi il merito sia nostro.

Un poco forse lo è anche, perchè il passato è stato duro, sia quello lontano quanto quello dei giorni vicini, quello di febbraio. E’ pur vero che la sbobba è migliorata un po’; che “il pane in sette” tocca con meno frequenza, che ci hanno dato le sigarette e la birra, che gli eventi militari seguono inesorabilmente il loro corso, che sembra siano in vista posta e pacchi, ma la sofferenza fisica e sopratutto morale è stata ed è pur notevole. Il clima più freddo, con qualche nevicata ci costringe a rimaner sempre in questa spelonca fumosa e diaccia, appollaiati sui castelli, in lotta continua contro la noia demolitrice. Poi vi sono le prime apprensioni per la possibilità di arrivo dei parassiti della pelle… (l’ultima disinfestazione non ha avuto alcun risultato pratico) Poi la mancanza di notizie da casa, aggravata dalle voci che siano giacenti al campo migliaia di unità postali, sia in arrivo che in partenza, ferme per mancanza di personale tedesco censore.
Ma anche i giorni passano ed il sesto mese di prigionia ci trova ancora a galla, aggrappati saldamente alla tavola che ci porterà un giorno nel sicuro posto della libertà; ed intanto ci si accontenta di poco, si escogita ingegnosamente ogni sistema per superare le ore dure, si vive di ricordi e di affetti, fino ad averne male al cuore. Ed è un’ansia tremenda, insoddisfatta, di poter dimostrare ai nostri cari, a Itala, alla mamma, a Sandro, il nostro infinito bene. E sono molti progetti, nelle interminabili ore d’insonnia notturna o di inedia diurna; molti dei quali non si avvereranno, ma che tuttavia occupano la fantasia ed accarezzano il cuore esulcerato.

– Il 20 febbraio abbiamo fatto la quarta iniezione antitifica.

– Il 26 si sono riuniti nuovamente i capigruppo regionali delle Tre Venezie, per l’esame d’una bozza di Statuto da dare alla sorgente associazione. Anch’io vi ho partecipato per il Gruppo dei trentini.

– Il 21 e il 27 ho scritto ancora a Itala.

– Riceviamo in lettura, settimanalmente, quel tal giornale che si pubblica a Berlino a cura della Centrale italiani optanti e che si intitola “La voce della Patria”. Non faccio commenti.

6 / 3.
Ascolta, mia Itala, come io abbia avuto oggi la tua lettera del 15 gennaio: una lettera così bella di traboccante affetto, esauriente, che mi ha toccato nell’intimo del cuore. E’ la tua prima notizia da quando sono in questo nuovo campo, e mi richiama alla mente la prima fra tutte, che ho avuto il 10 dicembre scorso a Cholm. Ora, dopo due mesi, rivedo la tua calligrafia, e risento palpitare il tuo cuore vicino al mio.

Rendo grazie all’Altissimo perchè mi concede di vivere una vita così spiritualmente bella e vera, tra le tribolazioni quotidiane.

Anche la mattinata, oggi, era trascorsa con le sue sempre nuove e pur vecchie sofferenze: fame, interminabile lento fluire delle ore, disagio crescente per il pericolo d’esser visitati dai pidocchi, freddo nella spelonca che vogliamo chiamar camerata.

Quando s’apprestava l’ora del sospirato piatto di minestra (a cui ognuno di noi avrà pensato il giorno precedente, nella notte e la mattina ad ogni occasione innumeri volte discutendone i possibili pregi e difetti) ci è giunta notizia che a causa del carbone di pessima qualità messo a disposizione dal Terzo ed ultimo Reich si sarebbe dovuto attendere ancor almeno un’ora, cioè fino alle 13; poi è suonato l’allarme, e c’è stata una robusta incursione aerea da parte degli anglo americani. Basta. Alle 16 s’era ancora in attesa.
Ma poco prima, quando corpo e spirito più risentivano di queste privazioni, è giunta la tua provvidenziale lettera, a portarmi la felicità. Istantaneamente è sparita ogni sofferenza e mi son sentito saziato di quel alimento spirituale che tu sola, Itala mia cara, mi puoi dare. Quanta inesprimibile gioia mio amore, quanto conforto per questo cuore dolorante!
Ora sì che so pensarti in un ambiente più definito, più reale, e sono anche felice che tu non sia sola a macerarti nel dolore per la mia assenza, ma che tu abbia vicine le tue care amiche Morandini e Gazzini alle quali sono tanto riconoscente.

Quanto desiderio avrei d’essere anch’io laggiù in questi giorni d’incipiente primavera, a lavorare il piccolo orto, come mi dici, e ad accompagnarti alla festa dei fiori nel giorno di S. Giuseppe! Sandro e te per mano, contenti e spensierati nel sole nostro.

Leggo e rileggo senza appagarmi mai le dolci parolette che anche nel cocente dolore mi sai dire, e riconosco il tuo inconfondibile stile. Tutte le tue frasi mi danno materia a molti pensieri, e tutte le vorrei commentare in questo libro di note, così, per bisogno interno di rimanere a lungo a muto colloquio con te, ma non posso, perchè manca la carta.
Devo solo dirti Mammetta mia che al di sopra di queste mie sofferenze attuali, c’è sempre, alto e meravigliosamente bello, l’amore che mi lega a te, mia vita; un amore fatto di ammirazione per le tue qualità, di gratitudine per avermi fatto offerta di te stessa prima e di Sandro poi, di orgoglio per il possesso di tanto grandi tesori; un amore che mi è garanzia e guida a tirar avanti serenamente non solo questa vita di prigionia, ma anche quella che mi attende al ritorno, riabbracciandoti sempre bella, sempre cara, sempre mia.

E quando tu mi vorrai chiedere che cosa voglio da te, ti ringrazierò sempre come già disse il grande Dottore acquinate a Dio: “non voglio nient’altro che Te!”
Cosa devo dire a Sandro nostro che pure m’ha scritto, e benissimo, un pensiero? che avrei avuto carissima una sua fotografia in pantaloni da sci, ma che in mancanza m’accontento di sognarmelo bello affettuoso e intelligente, carezzando l’idea di stringermelo forte al cuore, di portarlo con me nelle passeggiate e viaggi, e di guidarlo – con tutte le mie capacità – lungo la strada della vita, che comincia a richiedere da lui studio, lavoro, dolori. Sì che non si possa dire di me che non ho dato tutto me stesso a questa nostra creatura, come tu Itala hai dato tutta te stessa a lui ed a me. Ognuno di noi tre per gli altri due, e la vita sarà dolce anche tra le spine.
Vi benedico, miei amori, per il gran conforto che mi avete dato in questo giorno. Il vostro babbetto.

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Penso sovente; se per un istante la mia Itala fosse qui e mi vedesse, non vista, nelle varie contingenze della mia vita di prigioniero, dovrebbe esserne confortata, per il mio atteggiamento, serio ma per quanto possibile sereno e per il mio aspetto fisico, ancor buono. Per lei voglio mantenermi a posto, in ogni momento, come la dignità vuole.

Di Sandro dico sempre: è un bambino buonissimo quand’è buono, cattivissimo quand’è cattivo.

8 / 3 / 44.
Mario, il figlio di Iachelini, ha compiuto oggi i due anni. Per festeggiare l’avvenimento suo padre ha aperto una scatoletta di carne per lunghi mesi gelosamente custodita, e la minestra di noi quattro amici, con il contributo di un po’ di formaggio grana offerto da Del Vai, è riuscita una pietanza prelibata. Io ho offerto le sigarette. Abbiamo parlato tanto dei nostri bimbi, fino ad averne male al cuore per la nostalgia. Io non incoraggio mai, se non involontariamente, le conversazioni su questo argomento, perchè m’accorgo che De Romedis soffre.

Anche oggi lunghe ore di allarme aereo, per cui la minestra è stata consumata dopo le 4 del pomeriggio. Se questi “inconvenienti” son causati dal proposito di concludere presto la guerra, ben vengano: sopporteremo serenamente questo ed altro.

Il cap. Mancini è stato ucciso da una sentinella nel corso dell’allarme, perchè non stava in baracca.

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19 / 3 / 44.
Festa di S. Giuseppe. Una cocente nostalgia è nel mio cuore perchè il pensiero è a Trento dove si svolge la bella festa dei fiori. Itala e Sandro non mi hanno compagno nella visita al centro, e tutto sarà triste; ma l’avvenire ci darà la rivincita.
Siamo qui da due mesi, mantenendoci saldamente in piedi; tutto fa sperar meglio per l’avvenire. Il tempo non è stato proprio benigno con noi; giornalmente ci ha riservato freddo, neve, pioggia, grandine, vento.
De Romedis ha avuto il primo pacco, il 15 scorso, ed è stata una gran gioia oltre che per lui anche per noi.
Secchi che domani festeggia il 40° compleanno, ha voluto offrirmi un pezzo di pane. Domani, fredda giornata di bagno con disinfestazione, mi sarà provvidenziale aiuto questo modesto e pur commovente omaggio. Dopo domani, compleanno di Iachelini avremo un lauto straordinario di pesce in scatola, offerto questa volta da De Romedis.
Cerchiamo con ogni mezzo ed in pieno affiatamento di realizzare qualche soddisfazione, materiale o morale che sia, e intanto dopo un giorno passa un giorno, sicuri che “verrà ben dì…”

1.4.44.
Oggi m’è stato consegnato il primo pacco, che Itala m’ha spedito da Trento in data 14 marzo. E’ un grande avvenimento, che riempie il mio animo di commovente riconoscenza ed affetto. Me ne avevano dato avviso ieri sul mezzogiorno, e da quel momento il mio pensiero è stato lungamente rivolto a quest’avvenimento. E quando, dopo un’attesa di quasi tre ore nel freddo capannone (Bettini m’era compagno) mi son visto presentare, sia pure da mani sacrileghe d’un villanzone, quelle care e preziose cose, m’ha preso un’ondata di tenerezza per i miei cari, cui avrei voluto poter baciare le mani. Ho avuto la gioia di dividere con gli amici una sigaretta ed un po’ di dolce, ed ora vivo come in stato di grazia, sembrandomi quasi impossibile che queste care cose siano state nelle mani dei miei cari 15 giorni or sono. Ringrazio sovente Iddio e la mia dilettissima consorte per il bene che mi hanno dato, luce nelle tenebre di questa triste vita.

Notizie pure mi son giunte, e recenti, che sia da Itala che da Vallarsa; e son tranquillo e riconoscente all’Altissimo.
Itala mi dice d’aver deciso di attendere il mio ritorno per ammettere Sandro alla Prima Comunione. Sono sensibilissimo a quest’atto, considerando come una delle maggiori aspirazioni del mio spirito quella di essere accanto al mio bambino nel giorno in cui riceverà nel proprio purissimo cuore, per la prima volta, Gesù in corpo sangue anima e divinità.

9.4.44.
Dopo il Natale ecco Pasqua tra i reticolati. Oggi, non più nella lontana Polonia, il cuore aperto a maggiori speranze, con un clima fattosi improvvisamente tiepido, circondati di qualche premura da parte del Comando italiano del campo, maggiormente uniti in spirito tra amici, abbiamo trascorso la solennità in relativa e almeno superficiale serenità.
Il collegio dei cappellani (sono 21 tra 2570 prigionieri) aveva atteso, nel corso della settimana santa, alla preparazione degli ambienti e degli animi per una Pasqua il più possibile lieta. La baracca adibita a cappella ha avuto un modesto rifinimento, che l’ha resa accogliente. Le conversazioni letterarie e religiose hanno svolto vari temi di circostanza. Noi del Gruppo Trentini ci siamo riuniti la mattina del giovedì santo per ascoltare insiame una Messa e per adempiere al Precetto pasquale. Il capitano Secchi, che come più anziano ha assunto la carica di Capo Gruppo ed io, che della sorgente associazione mi sono particolarmente occupato, abbiamo preparato e distribuito a tutti gli amici un cartoncino-ricordo della Pasqua, modesto, simpatico e ammirato documento della nostra unione spirituale e patriottica.

Il comando italiano aveva ottenuto, e ce ne aveva dato preavviso per meglio disporre i nostri animi, di recuperare il contenuto di certi pacchi giunti qualche mese fa e rimasti giacenti perchè destinati a sconosciuti, per migliorare la nostra situazione alimentare. Il sabato abbiamo avuto tutti del pane biscottato, e chi non aveva ancor avuto pacchi da casa ha anche ricevuto scatolame, dolci ecc. Oggetti di toletta e di uso vario sono stati assegnati in una specie di lotteria, cui hanno partecipato tutti. La giornata di oggi è stata caratterizzata da tanti e tanti auguri scambiati, da una visibilissima ostensione di uniformi e calzature pulite ed in ordine, da un appello alle 9 e subito dopo da una solenne messa celebrata all’aperto, da un sole per la prima volta veramente tiepido e salutare, da una rondine ch’è venuta a volteggiare sopra l’altare, da una abbondante minestra di grano, da un dolcetto che Itala m’aveva mandato, con mano squisita, nel pacco, da una sigaretta, da un riposino, da una passeggiata nel delizioso tepore pomeridiano, e da una cenetta rinforzata da un ottimo spezzatino e dalla birra e dal the offerto da Sacchi.
Tutto ciò non ha potuto far tacere il latente “male di casa”, quel tal dolore dello spirito che nelle circostanze speciali tenta d’affiorare ad ogni istante per reclamare i propri legittimi diritti. E’ la nostalgia sanguinante per i nostri cari e per ogni particolare di quel mondo così nostro, così bello, così agognato e da sette mesi perduto. E’ il pensiero, fatto spesso di oscure apprensioni, per la vita stentata che essi son costretti a vivere, privati dell’assistenza e della luce che solo da noi può venire. Ognuno di noi tenta sorridere, tenta distrarsi, tenta refrigerio nell’intima amicizia dei più vicini compagni di prigionia, ma dentro ha il cuore che sembra scoppiare di dolore. Ed un certo aiuto gli può venire, come gli viene, solo da Cristo risorto, che indica la via da seguire ed è garante di un avvenire migliore. Attingendo a tanto prezioso ed inestinguibile patrimonio si tira avanti, procurando di innalzarci sulle miserie umane: solo così facendo si riuscirà a ridurre prigioniera la nostra prigionia, come disse il salmista.

23 / 4. A Itala mia.
Eccoci ad un altro di quei giorni così intimamente nostri, che lasciano nel cuore una profonda ed amara piaga, costretti come siamo, a viver lontani l’uno dall’altra. Ti ho scritto una lettera oggi, mia Itala, che ti dirà il mio trepidante affettuosissimo pensiero; ma oltre a ciò sento che devo, nel giorno del Tuo compleanno, rimaner più a lungo in muto colloquio, a parlarti di noi e di me, quasi tu fossi qui a sentirmi ed a vivere con me una così cara ricorrenza. La nostalgia di Te, del tuo sguardo, delle tue carezze, della tua voce s’è fatta oggi dolorante come nelle giornate più nere, e la sofferenza che ho nel cuore non te la posso dimostrare. Ti voglio dire invece che in questa sofferenza trovo ad un certo momento, anche un benefico conforto, per la consapevolezza di possedere il Tuo Amore, Itala mia, così grande e bello; per l’orgoglio di averti mia sposa; per la gioia di sapere che mi comprendi e mi approvi nei miei sentimenti di buon italiano e buon trentino; per la felicità che mi hai dato dandomi Sandro nostro. Ed è per il possesso di così meraviglioso patrimonio spirituale che affronto e supero con forte animo le angustie di questa prigionia.
Quale festa sarebbe oggi, Mammetta cara, se io venissi ad essere improvvisamente presso di te e di Sandro, nella tiepida casina di Trento! Sento che potrei finalmente piangere lacrime non amare, che vorrei abbracciarti le ginocchia, benedicendo al bene che mi hai dato e al sacrificio che per esserti legata a me hai sopportato. Povera cara Mammetta, quanto, quanto bene ti voglio, ed occorre avere ancora molta pazienza, portare ancora la pesante croce, soffocare ancora tante lacrime prima di poterci riabbracciare! Capisco da otto mesi che tu mi sei di esempio, e ciò mi conforta, ciò mi fa esserti riconoscente in ogni giorno, in ogni istante di questa vita. Grazie, grazie dal profondo dell’anima mio Amore per il bene che fai al mio cuore.
La giornata di oggi, domenica, mi ha dato occasione di intrattenermi con particolare fervore nella pratica religiosa; ho pregato tanto sai mia Itala e con tanta devozione, e con tanto rette intenzioni, che il Cielo non vorrà non ascoltarmi. Ho pregato per la tua salute, che mi tiene sempre in apprensione, per la tua serenità d’animo, per la salvezza tua e di Sandro nostro dai pericoli di questa bufera, e perchè la Madonna ti dia la grazia di veder nascere nel tuo cuore una ferma fede per la quale anche tu possa chiamarti una vera e militante cristiana. Particolarmente questo ho chiesto e chiesto sempre all’Altissimo, perchè amo pensare, per il dopoguerra, ad una vita caratterizzata da una grande Fede in Dio, per tutta la nostra famigliola: prender per mano Voi due miei tesori, così, come tre buoni amici, stretti ed uniti, e camminare, incontro alla vita, sulla strada luminosa sempre, anche se talvolta ricoperta di spine, dominata dalla indistruttibile legge di Dio.

Sempre in omaggio alla giornata domenicale ho avuto, a mezzogiorno, una “sbobba” migliore (e vorrei dire meno cattiva) del consueto; ed a sera ho potuto cucinarmi, sul fornelletto di circostanza e con la collabrorazione di De Romedis, l’ultima minestra di pasta giuntami col tuo provvidenziale primo pacco del 1o aprile.
Alle 21, coricandomi nel povero e pur eccezionale letticiolo, mi son trattenuto a pensare lungamente allla “nostra” vita passata, e se grande era stata la tristezza della giornata, più grandi sono stati i sentimenti di rassegnazione, di fiducia in un migliore domani e di fede in Te, in Dio, nella Patria, che ci ha abbandonati ma che un giorno ritroveremo.
Un altro giorno è passato mia Itala, ed è ciò quello che più conta: passare i giorni, cercando di mantenerci a galla, per giungere a quello la cui luce ci permetta di fissare i nostri nei nostri occhi. Il resto non conta.
Vorrei dirti ancora una parola Mammetta bella e cara: coraggio. Coraggio per il nostro reciproco meraviglioso amore, che abbiamo incarnato in Sandro, Mela d’oro.

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27.4.44.
Un pacco di Emilio è giunto a portarmi, con un conforto materiale notevole, la gran gioia di possedere qualcosa di casa nostra, povere care cose che parlano al cuore commosso.

29.4.44.
Una squadra di tedeschi, entrata stamane nel nostro capannone per una delle sue lunghe, improvvise ed indisponenti perquisizioni, ha rintracciato e requisito la lancia della Bandiera del mio Reggimento, che per otto mesi, attraverso i campi di Germania e di Polonia, ero riuscito a custodire gelosamente ed a celare alla bramosa indagine dell’oppressore.
Ne sono addoloratissimo.
Il tenente Boni cui avevo affidato questo simbolo per la custodia dopo un’ispezione nella sua camerata, nella speranza che almeno per un certo tempo non ne sarebbe stata effettuata una seconda, era venuto da me l’altro ieri a restituirmi l’involtino in cui, smontato, era il prezioso oggetto, per timore, diceva, che s’approssimasse il tempo di una nuova rivista all’ambiente. Non m’era rimasto altro da fare, accettandolo, che provvedere al suo occultamento presso di me: tolta dal pavimento una grossa tavoletta di cemento ho messo l’involtino ben profondo nella sabbia sottostante, avendo cura di rimettere tuttto a posto con meticolosa esattezza, non solo, ma badando di non essere visto da occhi indiscreti.
Neppure i miei amici vicini di letto erano a conoscenza del fatto.
Ed oggi, dopo una perquisizione umiliante agli abiti ed una forzata assenza di cinque ore tornando in camerata ho avuto la tristissima sorpresa di trovare buttato all’aria, con tutte le mie cose di corredo, di riserva viveri, di oggetti personali, anche più d’una dozzina di tavolette del pavimento, che era stato sconvolto in altri 4 – 5 punti della camerata. L’involtino per me tanto prezioso non c’era più, come erano stati trovati e portati via tanti denari e oggetti svariati.
Il T.Col. Testa comandante italiano del campo, che ho subito informato, m’ha promesso il possibile interessamento per il recupero di questo per me importantissimo simbolo.
Oggi intanto a me rimane, con il vivo dolore di essere incappato in questa disgrazia, il dubbio d’essere stato spiato, poichè al campo si è notata, in varie circostanze anche questa vile attività.

26/5.
Ho ritirato il terzo pacco: quello speditomi dalla Nonna il 14.4, che è prezioso e provvidenziale. Spero aver assicurato per l’avvenire una minestra giornaliera che mi tolga l’assillo dei giorni, grazie a Dio, ormai passati, in cui stando a razione soffrivo una più nera fame.

1/6.
Con l’arrivo di altri tre pacchi – di Itala, di Emilio e di Ines – ho avuto in questi giorni tanta gioia; l’avvenire, almeno sotto il punto di vista dell’alimentazione, mi troverà tranquillo. E il mio povero organismo, ridotto dopo lunghi mesi di sofferenza in condizioni tali da impensierire, ne trarrà sicuramente quel beneficio che lo metterà in condizione di resistere. Resistere: tutto si compendia in questa parola; resistere se si vuole giungere a casa.

24/6 S. GIOVANNI
Soffermarsi a ricordare: è un modo per evadere da questa miserevole cattività, ed è un illusorio ritorno ai tempi felici. Mi abbandono perciò a cuore aperto alla rievocazione del giorno (sono ormai passati nove anni) in cui Itala fu mia, ed insieme demmo principio alla nostra famigliola. Penso ai giorni anniversari, tutti radiosi e caratterizzati da qualche commovente particolare: quello del ’41 a Corcia, quello del ’42 a Visna Gora, quello del ’43 a Lubiana!
Solo il giorno d’oggi è privo di luce, a causa di questa maledetta esistenza; per trovar forza di vivere mi rivolgo ad ascoltare il palpito appassionato del cuore di Itala. Ella è certamente accanto a me, in queste ore, accomunata a Sandro che ormai comprende e che è ormai parte indissolubile nel nostro reciproco amore.
E’ qui con la sua ardente anima, curante solo di alleviare le sofferenze che pesano sul mio fisico e sul mio cuore.
Credo fermamente che ella pure sente presso di se, oggi, il mio affettuoso e trepidante pensiero, e ne sia rassicurata e incoraggiata.
Povera cara Mammetta eroica! Il prossimo anniversario del nostro matrimonio, il decimo, ci dovrà trovare nuovamente uniti, rasserenati, vorrei dire nuovamente felici, tutti tre, pronti a proseguire la nostra modesta vita, che Iddio vorrà benevolmente guardare dall’alto, come ora, e in tutti questi tribolati giorni Egli ci guarda. E saremo riconoscenti a Lui, per sempre, per aver benedetto le nostre nozze.

27/8/44
Sandro compie oggi otto anni. Un anno fa ho avuto l’infinito bene d’essere presso di lui nella cara casetta di Bolzano, venuto in licenza dalla Slovenia, per la festa tanto intima dei suoi sette anni. Oggi il destino vuole ancora ch’io soffra per la privazione d’una grandissima, legittima gioia. Con la nostalgia per il bel tempo perduto, e col tempo la libertà , la Patria, un’amarezza senza nome mi pesa sul cuore per una constatazione che ho fatto proprio in questi giorni: Sandro è ormai tanto cresciuto, che capisce la tragedia della guerra, ne soffre i disagi e le privazioni e i pericoli, e porterà nel cuore, forse per tutta la vita come sarà per noi adulti, la ferita delle sofferenze fisiche e morali. E’ terribile! Povero caro Sandro, tornerà il tuo babbetto, se Dio vorrà, e ti circonderà di tante affettuose cure, da farti dimenticare se possibile questi dolorosi tempi.

19/1.1945.
Oggi è un anno che vivo in questa spelonca.