Guerra fra Italia e Austria: avanza l’esercito italiano

Con lo scoppio delle ostilità fra Italia ed Austria inizia un periodo assai doloroso per la gente della Vallarsa. All’inizio l’esercito italiano avanza senza trovare praticamente resistenza, tratta con una certa diffidenza la popolazione che lo considera con qualche sospetto. Nel 1915 l’Italia è entrata in guerra e noi eravamo a Camposilvano. I soldati italiani arrivavano dal Pian delle Fugazze a piccoli gruppi perché avevano paura dei tradimenti. Quando giunsero a Camposilvano ci fecero uscire dalle case e ci radunarono su un prato dietro a casa mia. Lì si presentò un capitano e ci fece una predica: ci disse che adesso eravamo sudditi italiani e che dovevamo guardare a Roma e non più all’Austria. Intanto i soldati perquisivano tutte le case. Tutto il giorno rimanemmo lì; solo qualcuno potè andare a prendere qualche cosa da mangiare. A sera tornammo a casa nostra. Per andare a Raossi o in qualche altro paese dovevamo chiedere un permesso. Alcuni alimentari furono tesserati (Fiorentina Lorenzi).
Ci furono, inevitabilmente, i primi danni. Quando venne la truppa degli italiani si fermarono giù alle scuole di Valmorbia dove noi avevamo un campo di frumento e lo calpestarono tutto (Viola Dosso). Nonostante ciò popolazione e soldati trovarono modo di fraternizzare. Il nonno di Rosetta portò un secchio di vino, ma i soldati non vollero bere. Cominciò a bere lui e allora bevvero anche gli altri (Viola Dosso).
In alcuni casi l’atmosfera di terrore venne allentata da qualche battuta di spirito. Infatti la mattina all’alba arrivò la fanteria: ricordo ancora la 52°. I miei ci chiamarono a vedere questi soldatini strisciare dietro il muro della strada pronti a sparare. Il “tombino della botte” li inghiottì e nella “valle della paralota” al boschetto, non si vide più nulla. Il clima però era lunare, i tedeschi erano poi ad Anghebeni, ma tutti nascosti. Ai Foxi il paese era allora più grosso, ma non c’era un uomo sotto i 50 anni: solo donne, bambini e vecchi nascosti in cantina. Il mattino seguente, saranno state le 10, capitarono sei cavalli bellissimi color castano montati da tre ufficiali e tre soldati. Anche noi si tenevano le finestre chiuse dato che puzzava di guerra; questi si fermarono davanti a casa nostra e, “spiandoci” ci fecero il segnale di scendere. Mio padre non se lo fece dire due volte, scese in fretta, mise la mano sul cappello, si mise ad accarezzare i cavalli e gridava; oh che cavalli! io ho sempre fatto il carrettiere, ma cavalli così non ne ho mai visti. “Parea mato”, accarezzava i musi dei cavalli. Saltò fuori mia madre: lo prese per il cinturello del gilè e grida “sio mato” (si davano del voi) “no vedio che l’è i taliani, i ve fusila, i ve mete en preson”; e lui gomitate nello stomaco e lei gridare. Gli ufficiali gridavano: lasci stare buona donna, non vi facciamo del male; ma lei, sorda. Da noi, che si rideva, volevano sapere, invece, se c’erano tedeschi. Noi continuavamo a rassicurarli che ci sono solo donne, bambini, vecchi. Andateli a chiamare, dicevano, ma noi avevamo da fare a calmare mia madre, che, siccome le cose non erano molto allegre…
Finalmente arriva qualche donna, qualche vecchio e ragazzetti: il coraggio faceva zero. Tutti, all’unico interesse degli ufficiali se c’erano tedeschi, facevano il no almeno con la testa. Allora incominciarono una predica – che siamo venuti a liberare, siamo italiani come voi e sarete contenti – finché arrivò anche mio padre e mia madre scappò dentro casa. Allora mio padre si levò il cappello dicendo: io “sior” capitano volevo solo una cosa: volevo sapere se in Italia si possono cambiare le donne. A questa battuta il colonnello saltò giù dal cavallo assieme agli ufficiali, mise una mano sulla spalla a mio padre e disse: Padrone Iddio ce le ha date e le dobbiamo tenere. Bene – disse mio padre – per tutte le altre cose noi saremmo sempre d’accordo. Aprì la tabacchiera e offrì a tutti tabacco: sparirono tutte le rughe dalle facce e vi fu un momento di euforia di tutti: ufficiali e soldati. Il colonnello, poi, veniva tutte le sere a trovare mio padre (*)
Non sempre però tutto filava liscio; alcuni furono obbligati a fare da guida ai soldati poco pratici dei luoghi. Si fecero guidare da un certo Zendri detto “uselin” sui monti Mezzana e Coni Zugna. Questi, però, per paura di incontrare qualche tedesco ed essere il primo bersaglio, giunto in Salvata sopra Aste, se la svignò (Agostino Rippa).
Fra le diverse azioni compiute nei primi giorni di guerra ve ne furono alcune sicuramente da non inserire in un manuale di tattica militare. La prima pattuglia di militari entrò dal passo di Campogrosso e giunse in poco tempo alla Riva. Erano circa 200 uomini. Davanti a loro si erano ritirati sia i gendarrni comandati dal Brocchetti sia gli stanzizeri. Dopo alcuni giorni giunsero due tedeschi e nonostante si presentassero senza armi e sventolando la camicia bianca la compagnia italiana fuggì fino al Parmesan. Tornarono dopo una settimana e proseguirono per Matassone (Agostino Rippa).
Arrivò velocemente anche il momento in cui ci fu la prima di una lunga serie di vittime. Gli italiani avevano catturato due gendarmi e li stavano portando verso la Streva. Erano in mezzo ad alcuni soldati, mentre passavano per i Martini, altri italiani che erano sul Dosso di Camposilvano videro il gruppo e pensarono che i tedeschi avessero catturato i loro compagni. Spararono alcuni colpi di fucile e colpirono un gendarme alla gamba. I soldati che scortavano i prigionieri pensarono di essere attaccati e spararono a loro volta verso Camposilvano. Una pallottola entrò in una tenda e colpì un soldato che faceva il calzolaio, È il primo morto della guerra che ricordo (Giuseppe Gios).
(*) Da uno scritto di Adele Fox lasciato al nipote G. Niccolini.