Primo anno di guerra: l’esodo

Primo anno di guerra: l’esodo all’interno della valle

Rispetto a ciò che sarebbe successo in seguito nel primo anno di guerra la vita in Vallarsa fu abbastanza normale (Giuseppina Costaraoss).

Per qualcuno la novità costituita dall’arrivo di tanti soldati apparve, almeno all’inizio, un piacevole diversivo: a noi ragazzi che non avevamo visto niente a questo mondo, “pareva di essere in sagra” perché i soldati ci davano caramelle, gallette e biscotti (Viola Dosso).

Cominciarono nuovi lavori: la strada che da Anghebeni va a S. Anna ed Albaredo era stretta e vi passava appena una carretta. I soldati iniziarono su questa strada un lavoro di allargamento e di prolungamento fino allo Zugna con l’intento di far transitare lassù i cannoni (Emilio Maraner).

Ancora una volta fu impiegata manodopera della valle: noi ragazze di Piazza di quattordici, quindici, sedici anni per guadagnarci qualche cosa lavoravamo. A Corte, dove ora c’è la Casa di Riposo, c’era un magazzino. Ci davano un sacco di cemento del peso di 12-13 kg. Al mattino presto si saliva per la Val della Piazza fino in Cosmaion. Lassù arrivavamo verso le dieci e ci davano, mi pare, 12 centesimi per kg. di cemento (Giuseppina Costaraoss).

Cominciarono, comunque, i primi disagi: i militari si sistemarono nei paesi e mi ricordo che nella mia casa sui pavimenti delle stanze c’era paglia su cui dormivano e, alle pareti, file di chiodi su cui appendevano zaini, giubbe, fucili (Emilio Maraner).

Nel frattempo dopo l’entrata dell’esercito italiano gli “stanzizeri” si ritirarono fino alle Porte e alla Madonna del Monte (sopra Rovereto) dove rimasero per un anno. Fra questi c’era anche mio padre che aveva 53 anni e non potè mai dare notizie a noi rimasti a casa (Giuseppina Costaraoss).

Gli Austriaci, all’inizio poco numerosi, cercarono di sopperire con la fantasia alla scarsità di truppa: mio padre mi raccontava che riempite delle divise con della paglia le avevano portate, per diversi mesi, avanti e indietro, lungo l’argine dell’Adige per far credere di essere in tanti (Giuseppina Costaraoss).

Mano mano che il tempo passava il pericolo cresceva. La gente dei paesi della bassa valle, situati nelle immediate retrovie del fronte, cominciò ad avere paura e si trasferì verso le frazioni dell’alta valle ritenute più sicure. Quando cominciarono a bombardare mio papà disse che era meglio andare a Piano fin tanto che la guerra fosse finita, così con la vacca, la capra e parte della nostra roba partimmo (Viola Dosso).

Molti ritenevano dovesse trattarsi di una parentesi di breve durata. Quando siamo partiti con i nostri paesani per Obra ci siamo portati dietro poca roba. Abbiamo portato le nostre masserizie nella chiesa per salvarle ma poi hanno dato fuoco anche alla chiesa e tutto è andato distrutto. Mio papà ha potuto ritornare talvolta per prendere qualche cosa come le forme di formaggio che erano rimaste in cantina (Albina Maraner). Del resto c’era una certa libertà di movimento. Infatti ogni tanto si poteva avere il permesso di ritornare in paese per prendere qualche cosa o per fare dei lavori; eravamo scortati sia nell’andata che nel ritorno (Maria Martini).

L’esercito italiano portò con sè numerose novità. Alcune relative alle piccole cose d’ogni giorno avevano uno spaccio presso il quale anche noi ci servivamo, specialmente per la farina gialla (Oliva Martini). Altre, di più ampia portata, come la sostituzione del Capocomune con il primo sindaco italiano! (Vigilio Polli) o l’internamento di coloro che erano ritenuti filo-austriaci. Mia mamma, a causa di sospetti e male parole, prima ancora che noi andassimo a Raossi, è stata internata a Vicenza. In seguito ha potuto muoversi da Vicenza, ma doveva stare nel territorio italiano: così siamo state divise per tutto il tempo (Maria Martini). In alcuni casi la sostituzione degli internati con persone di provata fede italiana non ebbe gravi conseguenze, in altri provocò invece dei problemi. Con l’arrivo degli italiani i preti e i maestri della Valle – gente studiata – furono in parte internati in Italia. Io sono andato a scuola, alla Riva, con un maestro militare fiorentino, ci faceva filare, e si imparò molto. Anche il prete era un cappellano militare. Ricordo che nelle funzioni cantava sempre: Dio di potenza, Dio di bontà salvate l’Italia e Roma… Le donne, che avevano i mariti in guerra sul fronte, non erano contente di questi canti e non volevano più andare in chiesa (Emilio Maraner).

Nelle pause dei combattimenti sembrava, quasi, di non essere in guerra. Una volta io e mia cugina Elvira siamo andate a “cavare” le patate. Mentre lavoravamo, abbiamo visto il soldato che ci aveva scortate guardarsi attentamente in giro. Noi abbiamo chiesto cosa guardasse e lui uscì con questa espressione che ricordo benissimo: “il verde dei boschi, il silenzio della natura, il dolce mormorio del Leno, quanta pace e quanta poesia, si potrebbe sognare”. Noi si aveva ben altro che sognare! Ricordo che in un’altra circostanza la nostra scorta disse che mentre noi lavoravamo, lui leggeva un romanzo. E noi un romanzo? Ci vuoi del tempo a leggerlo (Maria Martini). Mentre alcuni soldati trovavano il tempo di leggere, altri erano impegnati nello scrivere. Davanti a casa c’era una panca e un tavolo. Un soldato seduto lì continuava a scrivere tutti i giorni. Dopo alcune settimane mia zia incuriosita chiese al soldato il motivo di tanto scrivere. Allora questi rispose che in tutta la compagnia erano solo in due capaci di farlo e dovevano supplire anche per gli altri (Giuseppe Gios).

La situazione in Valle rimaneva, comunque, fluida. Alcuni valligiani si spostarono più volte tra le diverse frazioni. Dapprima siamo andati ad Obra. Lì ci siamo fermati due mesi poi siamo andati ai Bruni perché Obra era più esposta ai tiri (Albina Maraner). Un’idea complessiva degli spostamenti della popolazione della Vallarsa nel primo anno di guerra, si può avere dall’esame dei registri scolastici relativi all’anno scolastico 1915-1916. Le informazioni relative sono condensate nel seguente prospetto: