A Legnago e in Liguria

A Legnago per alcuni giorni siamo stati nella piazza della fiera, dormivamo sulla paglia sotto le tende (Fiorentina Lorenzi).

Con noi c’era uno che aveva fatto il soldato con Radeztsky e conosceva bene il paese. Noi poi abbiamo messo la nostra tenda in un avvallamento è venuto un temporale e siamo stati allagati (Giuseppe Gios).

Poi noi di Camposilvano ci hanno portati a Bevilacqua in un castello. Dormivamo tutti per terra, famiglie intere e mangiavamo il rancio dei militari. Mia mamma e mia sorella sono arrivate parecchi giorni dopo e poiché mia sorella non era guarita del tutto, rimasero all’ospedale di Legnago. La fame non l’abbiamo mai patita (Fiorentina Lorenzi).

Le ragazze più grandi andavano a lavorare nelle case della gente di Legnago. Io andavo a scuola e ricordavo che la mia maestra era Beniamina Lorenzi. Tutti avevano una gavetta numerata per ritirare il rancio; la mia aveva il numero 73 (Albina Maraner).

A Legnago ci hanno portati nel campo della Fiera. C’era una tettoia che serviva al mercato del bestiame e che serviva a noi profughi per dormitorio. Parecchi hanno montato le tende, le donne con i bambini sono state sistemate in un granaio. Andavamo a prendere il rancio con le gavette. Chi alloggiava nelle tende ha dovuto cercarsi casa altrove in seguito ad un forte temporale (Gisella Stoffella).

Siamo rimasti fino al 7-8 gennaio 1917, poi ci hanno mandati nell’ospizio di Celle Ligure. Eravamo in molti di Obra, Piano e Camposilvano (iorentina Lorenzi).

In Liguria ben presto ci fu grande libertà di movimento un giorno dissero che se volevamo potevamo trovarci un alloggio fuori ed arrangiarci ci avrebbero aiutati con un sussidio. Fu un bene così dal momento che papà e mio fratello poterono lavorare e prendere paga e con in più il sussidio si tirava avanti bene (Fiorentina Lorenzi). Non mancarono le incomprensioni e le diffidenze un giorno un sottomarino tedesco affondò una nave che andava da Savona a Genova. Dissero che i profughi avevano riso e ci tolsero il sussidio per un mese. A scuola poi i ragazzi del posto ci chiamavano tedeschi ed erano continue liti. Nel complesso però siamo stati abbastanza bene. Abitavamo presso una famiglia al Pero e aiutavamo nei lavori dei campi (Giuseppe Gios).

C’era sempre il pensiero dei familiari che erano al fronte. In qualche caso qualcuno arrivò fortunatamente a ricongiungersi ai suoi. Dopo un anno è arrivato mio fratello prigioniero in Russia. Aveva fatto un lungo giro con il bastimento per evitare la guerra. Aveva dovuto firmare come volontario italiano per rimpatriare. Aveva sofferto molto, molto (Fiorentina Lorenzi).

Da Legnago ci hanno trasportati in vagoni merci a Celle Ligure, nella colonia. C’era la colonia dei Milanesi, quella dei Torinesi e quella dei Bergamaschi. Le chiamavano “gli Ospizi”. Anche qui si andava a prendere il rancio con la gavetta e si mangiava nei cameroni. Chi voleva uscire dagli Ospizi e cercarsi casa a Varazze o a Cogoleto poteva farlo e riceveva un sussidio. Molti si sono cercati lavoro presso fabbriche e presso famiglie private. I profughi erano assistiti dal medico condotto di Vallarsa dott. Martinelli e don Fiorello e don Tommaso. All’interno degli Ospizi c’era la scuola. Insegnavano maestri di Vallarsa. Quelli che erano fuori frequentavano le scuole pubbliche del luogo (Oliva Martini).

Flagello di quel tempo è stata la “spagnola” che ha fatto strage di famiglie intere. Alcuni anziani bisognosi di cure particolari, sono stati mandati dal medico a Imola (Oliva Martini).

A Legnago prima eravamo sotto le tende poi nelle baracche dei cavalli. Andavo a scuola da un maestro. Ci davano il rancio. Morirono tanti bambini e vecchi. Dopo alcuni mesi ci trasferirono a Celle Ligure e ci misero in un ospizio, c’era il dott. Martinelli che curava la gente. Non avevo né papà né mamma e facevo la fame; il papà era in Piemonte internato. Poi con un’altra famiglia abbiamo preso una casetta a Cogoleto. Allora venne anche mio padre e cominciò a lavorare in una fabbrica. Io con mia sorella più vecchia cominciammo a lavorare come infermiere nel manicomio perché era scoppiato il tifo e molte infermiere si erano ammalate, allora prendevano le avventizie. Io avevo 16 anni ma poiché ero molto grande dissi sempre che ne avevo 18. Man mano che le infermiere ritornarono in servizio noi restammo senza lavoro. Ma poi andai a lavorare a Quarto dove rimasi fino al 1924 quando tornai in Vallarsa per sposarmi (Maria Arlanch).