L’evacuazione di tutta la valle

L’evacuazione di tutta la Valle

Nella tarda primavera del 1916 le cose cominciarono a peggiorare quando sono rientrati i tedeschi, noi siamo rimasti venti giorni nascosti nella casa di “Piccirilli”. Le pattuglie arrivarono fino alla Piazza. Gli italiani erano a Parrocchia dove avevano costruito delle trincee e continuavano a sparare. Avevamo le vacche e dovevamo andare alla fontana per prendere l’acqua. Mentre i secchi si riempivano stavamo nascoste sotto il muretto. Si sentivano pianti, voci, colpi provenienti da Riva. Poi mancò anche l’acqua perché avevano colpito l’acquedotto… (Giuseppina Costaraoss). Noi siamo rimasti sette o otto giorni chiusi in cantina per i combattimenti fra pattuglie di italiani che venivano da una parte e quelle degli austriaci che venivano dall’altra. Sentivamo le granate che esplodevano. Una notte è scoppiata una bomba nella casa sopra la strada e l’ha fatta crollare (Ida Martini).

Nonostante tutto c’era qualcuno che si illudeva ancora. I tedeschi continuavano a dirci di partire, ma noi speravamo che la guerra finisse presto (Giuseppina Costaraoss). La situazione si faceva ogni giorno più difficile. I tedeschi avanzavano per la valle mentre i soldati italiani si ritiravano salendo verso Mezzana e lo Zugna e si trovarono così in una posizione favorevole perché iniziarono a sparare dall’alto sopra l’avanzata tedesca. La gente che era rifugiata a Riva e Cumerlotti si spostò verso Robolli perché era un po’ riparata. Il dodici giugno è caduta una bomba ai Robolli; parecchi sono rimasti feriti. I due più gravi, Pierina Aste e suo fratello sono stati portati in un ospedale a Besenello, mentre un altro fratello, Marcello, è morto. Lo seppellirono la notte fra il dodici e il tredici giugno nel cimitero di S. Anna, avvolto in un lenzuolo, sotto il muro della chiesa. Un uomo, con il “cortelo storto” incise il muro della chiesa facendo una croce (Emilio Maraner).

Così è venuto il giorno che siamo dovuti scappare. Da Volano venivano granate calibro 42 da 8-9-10 quintali l’una. In Val di Foxi ho visto un deposito di munizioni incendiarsi e saltare in aria. “En fogo per la madosca!” Sopra Riva, verso Mezzana, andavano su i soldati tedeschi e, dall’altra parte da Ala gli italiani. Tre volte sono saliti i tedeschi e dopo “i è reculai” perché non avevano munizioni. Ho pensato che doveva esserci un morto “per zoca’ tanto si è combattuto (Egidio Zanolli).

La confusione fu grande: parte della popolazione fu evacuata in Austria, La destinazione fu imposta dalle circostanze, raramente si trattò di una scelta avremmo potuto andare verso l’Italia, ma invece siamo andati in fuori 8Emilio Zanolli). In alcuni casi le famiglie furono divise. Con noi vivevano uno zio di mio papà e un cugino di questo zio: Tommaso e Giuseppe di 80 e 82 anni. Loro sono venuti con noi fino ai Bruni, poi quando siamo partiti per l’Italia loro sono stati mandati in fuori (Albina Maraner).

Soprattutto fra i più anziani molti non volevano assolutamente partire. La nonna era vecchia e non voleva partire. Diceva portatemi su nel letto della mia Luigina e lasciatemi morire lì. Preparammo una cassetta, ma la nonna non volle partire. Allora due soldati caricarono la nonna su una barella e la portarono di notte fino a Staineri e la notte seguente fino a Matassone. Mia cugina preparò su un fuoco, tra due sassi, un po’ “di panà” per mia nonna, ma quando gliela portò la nonna era morta (Giuseppina Costaraoss).

L’esodo assunse aspetti drammatici: Mia mamma ha messo su un carro, un piumino e delle coperte per trasportare mia sorella Alice che era ammalata. Era una notte nera. A Foxi davanti all’osteria i riflettori dello Zugna ci hanno avvistati. Un tedesco ci disse di metterci fermi vicino al muro. Ad Anghebeni abbiamo visto scendere dalla valle del Boale i cavalli che tiravano carri con le ruote piccole. Per poco mio fratello Federico non rimaneva travolto, mia mamma è riuscita a salvarlo. Nella Valle di Pozzacchio la strada era tutta rovinata e hanno dovuto staccare le ruote del carro, portare tutto dall’altra parte sulle spalle e rimettere le ruote. Il 13 giugno siamo passati davanti alla caserma della finanza di Rovereto. Abbiamo visto cadere una bomba sulla casa di fronte, di là del Leno, che era piena di soldati ed è successo un disastro. Pezzi di tegole e di carne umana cadevano sulla nostra strada, sotto il castello (Ida Martini).

Alle 10 di sera del 13 giugno, mi ricordo che pioveva. Partimmo con pochissima roba sotto il braccio per la strada di Prova, mia mamma e noi fratelli e sorelle; mio papà era al fronte e da un anno non si sapeva niente. Avevamo l’ordine di star fermi e di buttarci per terra qualora i riflettori fossero stati puntati su noi. Si andava a piedi, ma un soldato tedesco ci offerse di salire su un carro con il quale aveva trasportato munizioni da Rovereto in Vallarsa. Nella Val del Restello abbiamo dovuto scendere perché il ponte era distrutto. Alcuni del paese che si erano portati dietro delle vacche e carrette persero tutto. Anche noi abbiamo perso il mezzo di fortuna e abbiamo dovuto proseguire a piedi. All’alba siamo arrivati in piazza Podestà, a Rovereto, e ricordo che pioveva ancora forte. Affamati e stanchi si sperava di ricevere qualche cosa da mangiare, invece ci hanno instradati per S. Ilario. Lì ci hanno dato una pagnotta militare e un po’ di brodo, poi ci hanno portati a Calliano e da Calliano a Nomi. A Nomi ci hanno sistemati in una filanda. Mia mamma aveva i piedi sanguinanti per il lungo camminare sotto la pioggia e andò dalla padrona della filanda per chiedere un paio di pantofole e qualche cosa da mangiare per noi; io mi buttai in una cassa che era lì e mi addormentai (Emilio Maraner).

Anche per coloro che andarono in Italia le cose non furono facili. Siamo partiti tutti in fretta, ciascuno con il proprio fagotto, a piedi, in colonna verso la strada di Camposilvano dove ci siamo fermati a dormire la notte. Solo le persone anziane o ammalate venivano trasportate su carri o slitte (Gisella Stoffella). Noi avevamo un vecchio mulo e lo abbiamo caricato con roba da mangiare che avevamo in casa: due forme di formaggio, mezzo sacco di galline morte, dei salami. Per vestirci, invece, abbiamo preso il cambio e due pezze di stoffa. Sono partita sola perché mia sorella si era ammalata di tifo e l’avevamo portata a Speccheri; mia mamma volle rimanere con lei. Io ero “zovena e picola”, il mulo era grande e tanto carico che ogni tanto la roba scivolava giù sotto la pancia e il mulo non riusciva a camminare. Metà strada era occupata dalla truppa italiana che veniva sù e metà da noi che andavamo in giù. Mentre andavo da Camposilpano alla Streva sentivo scoppiare le bombe. A Valli presero in consegna il mio mulo e mi fecero salire su un camion dove trovai due zie partite da Camposilvano prima di me. A Schio ci misero su un treno merci: questo treno andò avanti e indietro per tutta la notte e il giorno dopo. Non sapevano dove portarci. Ogni tanto venivano con una scatoletta di conserva e una pagnotta che dovevamo spartirci. Poi ci hanno portati a Legnago (Fiorentina Lorenzi).